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Il geologo - ricercatore Giuseppe
Pipino (in diverse pagine dedicate) |
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Il MUSEO STORICO DELL'ORO ITALIANO
(dispone anche di un suo
sito) é stato costituito dal
dottor Giuseppe Pipino a Predosa (AL) nell'aprile del 1987. La raccolta era
iniziata negli anni '70 durante le ricerche giacimentologiche e
storico/minerarie condotte dal geologo per le antiche miniere della Val Gorzente e per i depositi alluvionali auriferi della
Val d'Orba, ed erano
serviti, nel 1981, per l'allestimento di una prima esposizione permanente a
Casalcermelli, mentre oggigiorno ha nuovamemte sede in Predosa
(AL), via Lung'Orba n°1.
Successivamente, con l'estendersi delle ricerche a tutto il bacino padano e ad altre parti
d'Italia, venivano reperite numerose altre testimonianze, riguardanti tutte le zone oggetto
di antiche attività, ed iniziava la raccolta bibliografica che portava all'attuale Biblioteca.
Nel Museo è illustrata la storia dei giacimenti auriferi italiani, con
documenti che vanno dal Cinquecento ai giorni nostri, carte topografiche antiche e recenti, titoli azionari
emessi dalle compagnie minerarie, una ricca raccolta bibliografica specifica,
opuscoli, giornali, incisioni, fotografie, strumenti ed oggetti d'uso. Non mancano
campioni di minerali auriferi e di oro nativo primario, nonché di scagliette e polvere d'oro
raccolti in
molti corsi d'acqua.
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La copertina
del Catalogo che elenca il materiale disponibile presso il Museo.
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Di particolare interesse, per quanto riguarda la parte strumentale relativa ai
giacimenti di quarzo aurifero della
Val Gorzente, sono un tratto del binario
impiantato nel 1888 e reperito in una delle antiche gallerie, utensili di
scavo e macine in pietra di diversa età: fra queste una di grande diametro fatta in granito, roccia che è
assente nella zona e che, come si evince da pubblicazioni del 1885, veniva importata dal Monte Rosa. Dalle
miniere del Monte Rosa provengono direttamente altre testimonianze, fra le quali molinelli
d'amalgamazione usati ai primi del Novecento in Valle Anzasca, lampade da
miniera, utensili vari e una ricca documentazione riguardante le attività
svolte nel corso dei secoli in Valle
d'Aosta, in Val Sesia e in tutta la regione
Ossolana.
Per altre zone d'Italia vanno segnalati i primi campioni di quarzo con oro
epitermale raccolti dallo stesso dottor Pipino in Toscana meridionale ed in Lazio, oltre alle
testimonianze delle sue prime ricerche in Trentino, Liguria,
Calabria, Sicilia e
Sardegna.
Per quanto riguarda l'antica attività di raccolta dell'oro dai sedimenti alluvionali, oltre ad
alcuni reperti archeologici provenienti dalle aurifodinae romane della
Bessa, sono conservati numerosi esemplari di piatti (batee) e canalette in legno
utilizzati dagli inizi del secolo agli anni '50 dai cercatori dell'Orba, dell'Orco,
dell'Elvo, della Sesia e del Ticino,
assieme ad altri strumenti complementari. Vi sono inoltre parti dell'impianto costruito alla fine degli anni '30
a Portanova di Casalcermelli per la separazione ed il recupero dell'oro e
degli altri minerali pesanti contenuti nelle sabbie dell'Orba.
Nel Museo è anche possibile seguire, attraverso manifesti, ritagli di giornali e
fotografie, lo sviluppo recente della raccolta amatoriale dell'oro. Il
Museo è infatti sede della locale Accociazione Storico-Naturalistica della Val
d'Orba, sodalizio senza scopo di lucro e motivato a promuovere iniziative dirette alla conoscenza e alla valorizzazione
storica e naturalistica di località e fiumi auriferi italiani, con spirito di tutela ecologica del
territorio e salvaguardia della secolare attività di pesca dell'oro.
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La Biblioteca del Museo Storico dell'oro Italiano raccoglie libri, opuscoli e
manoscritti che riguardano sia il minerale (metallo) oro sia i minerali che generalmente lo accompagnano e
le attività minerarie che li hanno interessati, con particolare riguardo
rivolto verso l'Italia.
Il materiale è stato raccolto dal dott. Pipino
(foto a lato) nel corso della sua trentennale attività di
ricerca storica ed esplorativa; a tal proposito va detto che gli "sconfinamenti", talora
soltanto apparenti, ma talora anche sostanziali, sono dovuti sia a suoi vari
interessi personali sia alla necessità di conoscere meglio storia e natura di alcune
località ed infine, in qualche caso, alla semplice casualità di acquisizione delle
pubblicazioni.
Dato che lo scopo era quello di avere alla mano quanto potesse servire per
specifiche ricerche minerarie, oltre agli (quando possibile) originali, sono state raccolte anche
fotocopie di pubblicazioni e di documenti in biblioteche ed archivi non soltanto italiani:
da notare che oggi molti degli originali sono esclusi dalla riproduzione, altri sono introvabili, per cui le fotocopie possedute vanno a
sostituirli e costituiscono delle vere rarità che vanno ad arricchire i non pochi esemplari originali rari, se non unici, che
l'illustre geologo ha la ventura di acquisire. Per lo stesso scopo
Questi ha talora preferito estrapolare da libri e riviste solo quanto
sostanzialmente interessava; per questa ragione i periodici moderni maggiormente
utilizzati non sono stati conservati nella loro interezza, se non nel caso di numeri monografici. Talvolta la
pubblicazione estratta si riduce infatti ad una pagina fondamentale o anche meno, ma si tratta
appunto dell'unica parte interessante e disponibile sull'argomento trattato.
Durante quest'accurata ricerca e cernita storica, Pipino ha inoltre
privilegiato le pubblicazioni più antiche cercando, quando possibile, di
risalire sino alle fonti originali delle notizie e di acquisirne copia:
ha invece intenzionalmente trascurato molte pubblicazioni recentissime che, oltre a riproporre dati
"triti e ritriti", molto spesso forniscono errate indicazioni bibliografiche o non tengono conto delle
informazioni precedenti.
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Buona parte del materiale raccolto riguarda ovviamente
Piemonte e
Valle d'Aosta, le nostre classiche regioni
"aurifere" e, per tempi recenti, Toscana meridionale e
Sardegna, regioni scopertesi aurifere a seguito dell'attività e delle
indicazioni di Pipino stesso. Poiché detta sua attività ha riguardato in modo particolare la
Liguria, ne consegue la ricca
documentazione su questa regione, ma contemporaneamente egli non trascurò certo le altre regioni
italiane e cercò di rimediare tutte le notizie possibili sul loro
presunto contesto aurifero, anche quelle apparentemente più
insignificanti o astruse, non disdegnando nel contempo di raccogliere
vari altri materiali di qualche interesse giacimentologico o
storico-minerario nei quali s'imbatté nel corso delle ricerche.
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Tra i documenti disponibili presso il Museo storico dell'oro italiano,
l'abbondanza dielle pubblicazioni archeologiche non è casuale perché utile:
ad esse il geologo qui menzionato fece infatti ricorso per cercare nessi e legami fra
le antiche
attività minero-metallurgiche e le risorse metallifere locali, argomento
del tutto negletto nel nostro paese, a causa dell'errata convinzione che
l'Italia sia povera se non del tutto priva di risorse metallifere. Dette
risorse sono invece certamente qui diffuse, e se oggi non offrono alcuna
prospettiva economica, non è stato sempre cosi, basti pensare che nella
seconda metà dell'Ottocento l'Italia era fra i maggiori produttori
europei di
oro, di rame, di
ferro, di manganese, di
mercurio e di
pirite. Peri tempi antichi bisogna fare i conti con i discreti
depositi auriferi alluvionali, specie quelli terrazzati
completamente sfruttati dalle antiche popolazioni e dai Romani, oltre
che con una infinità di piccoli affioramenti a
solfuri
misti che oggi possono apparire insignificanti ma che nell'antichità, e
anche in un passato meno remoto, hanno potuto costituire discrete fonti
di approvvigionamento d'argento, rame, ferro e altri metalli con i quali
fabbricare in posto oggetti per i quali, quasi sempre,
"l'Archeologia" cerca invece produzioni lontane.
Come già
detto, molti materiali originali, più o meno antichi, sono stati
acquisiti per scambi e donazioni; particolarmente importanti sono state
le donazioni di René Bruck, Guglielmo Rebora, Maurizio Stupini
e, soprattutto, di Franco Meliconi di Grosseto, al quale si deve
il recupero di parte dell'archivio della "RiMin", a Follonica,
dopo la dissoluzione dell’ente parastatale seguita allo scandalo
"Tangentopoli" e all'inchiesta "Mani pulite" (2003).
Da aggiungere, rispetto al materiale precedente, la mole di materiale
"savonese" donato dalla famiglia Trinchero, erede del
comm. Bartolomeo Accornero.
P.S.
Mi è stato detto di precisare che il catalogo viene inviato
gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta contattando il dott. Pipino
tramite il sito del Museo.
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Pipino
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