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Pestarena, Macugnaga e miniere d'oro
della Val Anzasca. |
Storia di una miniera
Un
pregevole resoconto storico di Sandro Dalmastro.
Secondo la
tradizione i piu antichi sfruttatori dei giacimenti auriferi di
Pestarena, nell'alta Val Anzasca, furono i
Celti prima ed i Romani poi.
Tuttavia occorre arrivare fino al 1291 perché la leggenda
su questa celebre miniera d'oro diventi storia.
E' di quell'anno, infatti, il trattato di pace stipulato fra il Conte di Biandrate e gli abitanti delle valli dell'Anza
e di Saas, in cui si fa per la prima volta cenno a dei non meglio
precisati "homines argeatarii" cioè "uomini
dell'argento". Sul finire del '700 la resa media delle miniere di Pestarena si aggirava
sui 12-18 grammi di oro puro per quintale e la
coltivazione in galleria interessava ormai anche le valli confluenti
fino alla notevole profondità di 400 metri sotto il livello del suolo.
In quegli anni le principali difficoltà erano costituite
dalle frequentissime infiltrazioni d'acqua in galleria, comprensibili se
si pensa che alcuni pozzi dei più profondi raggiungevano il livello del
torrente Anza nel fondo valle e che le opere idriche erano ancora molto
embrionali e poco pratiche. Verso gli ultimi decenni dell'800 le miniere
vennero sfruttate, senza molta fortuna, da una finanziaria inglese per
passare, poi, all'inizio del nostro secolo, in concessione alla Società
Ceretti di Villadossola che vi realizzò alcune importanti opere di
scavo e di consolidamento, estendendo la rete delle gallerie ad oltre
cinquanta chilometri. Nel 1938 gli impianti passarono all'Azienda
Minerali Metallici Italiani, una società statale che li sfrutterà con
alterna fortuna fino al 1954, anno della loro prima chiusura. Persa la
signoria della valle alla fine del 1700, i Borromei riuscirono tuttavia
a conservare la "decima" sulle miniere,
che nel frattempo erano state concesse in sfruttamento al
capitano Bartolomeo Testoni. E' certamente questa una delle figure più
leggendarie tra
quelle che popolano la storia della ricerca dell'oro nella valle dell'Anza.
Dotato di un fiuto nella ricerca e di un dinamismo imprenditoriale
davvero inusuali per l'epoca, fu un vero e proprio ingegnere minerario
"ante litteram", coltivando nuovi filoni con grande
profitto ed arricchendosi in breve tempo. Non minore fortuna toccò,
alcuni anni più tardi, ad un altro capitano minatore: Pietro Giordano
di Alagna, appaltatore dei lavori di scavo che iniziarono vicino al
ponte, nella frazione di Borca. Con questo nome erano verosimilmente
indicati i minatori
che impiegavano il mercurio ("argentum" nel latino volgare dell'epoca...?)
per estrarre, con il metodo dell'amalgamazione, l'oro dal materiale
sterile. Solo all'inizio del 1400, però, con l'avvento in valle del capitano di ventura Facino Cane, ha inizio
l'epoca del vero e proprio sfruttamento razionale dei filoni auriferi.
E' questo il periodo in cui la coltivazione dei giacimenti subisce un
netto incremento, grazie a geniali innovazioni nella tecnologia
estrattiva e nell'arricchimento del minerale. Scacciati i discendenti di
Facino Cane intorno al 1430, arrivarono in valle i Borromei, che avevano
nel frattempo acquisito il diritto di concessione su tutte
le miniere dal duca Gian Galeazzo Visconti. Pare, tuttavia, che la
qualità della loro gestione "mineraria" della valle Anzasca
fosse nettamente inferiore a quella politico-militare, cosicché
fino a tutto il '700 gli impianti lavorarono a ritmo ridotto, con rese
assai meno proficue di quelle ottenute due secoli prima dai loro
predecessori. A cavallo del periodo bellico la produzione raggiunse i
massimi vertici nella secolare storia della miniera, grazie ad un
aumento considerevole della mano d'opera; tuttavia la gestione statale
non fu certo un modello di efficienza e di sicurezza e l'assoluta
mancanza delle più elementari misure profilattiche causò in quegli
anni un aumento impressionante dei casi di mortalità per silicosi. Nel
dopoguerra la produzione riprese tra molte difficoltà,
dovute soprattutto all' equilibrio tra i prezzi di costo e quelli di
realizzo ed alla mancanza degli iperbolici premi di
produzione che la Banca d'Italia aveva continuamente elargito
nel periodo autarchico del regime. Così, dopo alterne vicende, nel 1961
si giunse alla definitiva chiusura degli impianti.
Sandro
Dalmastro
Vedi
anche in Val Sesia il sentiero Genoni che dal collescende in questa valle.
Vedi
anche le note storiche tratte dai documenti Sabaudi
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IN LIBRERIA. Nel 2008 è uscito il volume dedicato alle miniere
d'oro del Monte Rosa, dal titolo: "L'oro del Rosa. Le miniere
aurifere tra Ossola e Valsesia nel Settecento. Uomini, vicende e
strumenti in Valle Anzasca", Edizione Zeisciu Centro Studi.
Dettagli al merito sui Siti delle librerie Rizzoli e Hoepli. |
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