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In questa pagina si prende quale esempio la Val Sesia e
le sue miniere d'oro per descrivere quali fossero i sistemi di trattamento
e di raffinazione del minerale nell'epoca in cui si usava l'amalgamazione,
poi sostituita dalla cianurazione. |
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Giorgio D'Adda, dopo aver sfruttato
negli anni del '600 ed esaurito le parti
più facilmente sfruttabili e ricche (cioè quelle a vista) dei giacimenti
auriferi riguardanti la Val Sesia, decise di abbandonare i lavori; presto però
li riprese e questo in considerazione delle nuove migliorie da lui
stesso apportate nel contempo al metodo dell'amalgamazione (e di cui
chiederà il brevetto) e che avrebbero garantito miglior resa e recupero del
nobile metallo.
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Col sistema precedente il minerale estratto veniva scelto,
pestato finemente, poi impastato con acqua e mercurio in grossi contenitori,
quindi rimescolato per diverse settimane prima di esser posto, poco alla
volta,nei molini di amalgamazione dove veniva ulteriormente macinato con
altra aggiunta di mercurio. Alla fine, il prodotto risultante veniva
raccolto e distillato per ottenere così l'oro in lega con l'argento.
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Con il nuovo procedimento invece, il minerale pestato veniva
immesso direttamente nei molini insieme al mercurio, acido nitrico (o
componenti chimici di quest'ultimo) e anche sali naturali o artificiali.
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Questo metodo
assumerà grande approvazione e
divulgazione in tempi futuri nei primi anni del 1800, ma prima, nel
frattempo, il processo di amalgamazione sarà abbandonato (nel 1756)
durante la gestione statale del Governo Sardo e sostituito con quello
denominato di liquazione (piombificazione) elaborato
dall’ispettore delle Miniere Spirito
Nicolis De Robilant, che riteneva quest’ultimo più efficiente ed
economico. Questo procedimento non diede però i frutti sperati e nel
1769, alle dimissioni dell’ispettore e alla rinuncia della gestione
delle miniere da parte dello Stato Sardo, venne ripristinato il metodo per
amalgamazione, dietro preciso ordine del re. Esso continuò ad essere
utilizzato fino all’inizio del Novecento quando, nonostante l'avvento
del trattamento per cianurazione, le miniere d’oro della Valsesia
chiusero definitivamente, anche se continuò ad essere usato, abusivamente,
in piccoli
molinelli artigianali azionati a mano o con piccole derivazioni d'acqua.
Va però detto che il nuovo sistema in uso non era purtroppo applicabile
sul materiale riguardante le miniere più antiche della vallata perché
l'eccessiva presenza di arsenopirite o di altri
solfuri di cui queste
erano caratterizzate, rendeva problematica oltreché costosa l'amalgamazione; a
tal proposito si dovette rinunciare anche a tentativi di abbrustolire preventivamente il
minerale (per eliminare i solfuri), perché questi si rivelarono molto dannosi sia per la
salute degli operai che per la vegetazione circostante.
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Un
esperimento da NON FARE.
Casualmente mi si ruppe un giorno
un termometro di quelli vecchi,
col mercurio: guardai con curiosità quelle belle palline metalliche che
rotolavano mollemente sul tavolo compenetrandosi l'un l'altra o
separandosi a piacere. La curiosità fu troppo forte e provai a porre la
mia fede nuziale, solo per qualche istante, a contatto con una di quelle
piccole e flessibili biglie. Sul momento mi sembrò che non fosse accaduto
proprio nulla, ma quando all'indomani riguardai la mia fede, mi accorsi
che in un punto era diventata color grigio metallico e che lì il colore
l'attraversava per intero sin nel suo lato interno. Non la posso più
portare al dito perché quel preciso punto della fede non è più robusto come
il
resto dell'anello, ma assai fragile e si può spezzare o sbriciolare. |
In pratica si
poteva dunque trattare solamente minerale povero di arsenopirite e di galena, cosa che per quanto riguardava alcune miniere (ad es. quella
Dei Cani, situata nella prima parte della valle Anzasca) era un vero peccato
perché le loro zone più ricche erano proprio costituite da quel contesto
mineralogico. Pochi anni appresso si formarono, per opera di speculatori
stranieri, diverse società azionarie atte ad estrarre l'oro dalle diverse
località valsesiane, fattore che porterà i nuovi interessati ad altri tentativi di
migliorare ulteriormente i processi di amalgamazione finora in uso. Già dal 1850 i
concessionari di allora in opera avevano cominciato a modificare un vecchio
stabilimento di trattamento a Battiggio, costruendovi forni per
l'arrostimento preliminare e per la fusione del minerale, ma pochi anni
appresso l'intera attività venne ceduta alla Pestarena United ;
quest'ultima prese dunque in mano tutta la situazione mineraria dell'area e decise anche di ristrutturare l'impianto di Battiggio in
conformità alle nuove scoperte che questi fecero sulle caratteristiche
dell'oro locale. Essi infatti rilevarono che l'oro dei filoni ossolani,
pur presentandosi in particelle piccolissime, anche all'interno della
stessa pirite era sempre allo stato nativo,
cioè "libero", per cui
conveniva polverizzare al massimo il minerale prima di amalgamarlo, magari
torrefacendolo per agevolarne la liberazione. Venne così introdotto un
nuovo tipo di molino d'amalgamazione di grandi dimensioni che si chiamerà Francfort
(dal nome del suo ideatore) e che sarà adottato presso
tutte le miniere della Pestarena United ; con questi nuovi
accorgimenti si riuscirà a recuperare l' 80% dell'oro presente nel
materiale trattato. La società concentrerà però le proprie attenzioni
più che altro nello
sfruttamento dei filoni "antichi" che furono da altri
tralasciati per via di quell'alto contenuto arsenicale che complicava la
fusione del minerale, ma anche questi nuovi arrivati incontreranno enormi
problemi al merito, per infine chiudere anch'essi attività e stabilimento.
Le cose andranno invece meglio con gli analoghi stabilimenti che
costruirono nei pressi delle miniere di Val Toppa (questo in località
Fomarco) e di Pestarena, i quali
prospereranno per anni producendo, insieme
a quelle della val d'Ayas, la quasi totalità dell'oro italiano.
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Nel corso del secolo a seguire (1900)
l'amalgamazione sarà poi sostituita dal nuovo e più sofisticato metodo denominato
cianurazione: la produzione aurifera italiana è a questo punto
ormai assicurata per la maggior parte al minerale del giacimento
di Pestarena (e di Lavanchetto) ed il materiale in questione verrà
trattato, appunto per cianurazione, negli stabilimenti locali fino ad
ottenere un denso fango aurifero da inviare poi, per la successiva
raffinazione, a ditte specializzate quali ad esempio (e soprattutto) la
"Minerali Preziosi" di Milano.
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Vedi
anche l'amalgamazione
in zona Pestarena / Macugnaga.
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Vedi
tesi
di laurea alta Valsesia [come si utilizza e tossicità] |
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Vedi
anche "cosa (purtroppo) combinano" in
Tanzania. |
Vedi
un vostro recente
esempio e descrizione. |
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Approfondimenti di questa pagina
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