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Sutherland descrive l'oro

 

 

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E' stato calcolato che la quantità totale di oro ricavata dalla superficie della Terra negli ultimi cinque secoli é di circa centodiecimilioni di libbre. Poiché la

sua densità specifica é elevatissima, 19 circa, questa quantità (oltre 50.000 tonnellate) può essere contenuta in un cubo di circa quattordici metri di lato.

Premesso che questo calcolo non può essere che approssimativo poiché, sebbene a partire dal quindicesimo secolo dell’era cristiana, quando l’oro incominciò ad avere una parte

L'esposizione di  Sutherland sulle quantità d'oro estratto, sue proprietà fisiche e motivi per cui esse costituirono per l'uomo un formidabile oggetto d'interesse non solo a livello economico, funzionale  oppure decorativo, ma anche di culto.

 

importantissima nell’economia relativa delle potenze europee e cadde quindi sotto il controllo più rigido dello Stato, si sia incominciato a tenere una più accurata registrazione della produzione, è tuttavia fuor di dubbio che molto oro prodotto in piccoli quantitativi sia riuscito in qualunque epoca a sfuggire alla vigilanza ufficiale. Inoltre, raramente si é potuta stabilire chiaramente la quantità di oro trovato in un qualunque periodo determinato nella Russia asiatica da quando, poco più di un secolo addietro, si cominciarono a sfruttare sistematicamente i giacimenti e fino ai nostri giorni, in cui la produzione aurea russa rappresenta un costante e formidabile punto interrogativo nell’economia mondiale. Malgrado tutte queste riserve, comunque, la cifra di 110.000.000 di libbre sopraindicata (cioè 50000 tonn.) non é molto distante dal valore reale.
Nessuno può dire quanto oro sia stato prodotto nei precedenti cinquemila anni durante i quali esso veniva avidamente ricercato, gelosamente conservato ed amorosamente lavorato. Dei 110.000.000 di libbre estratti dalla terra a partire dal quindicesimo secolo, più dei quattro quinti appartengono dal XIX secolo (1800-1900) all'oggi e più della metà di essi dalla prima metà del XX secolo (1900-2000) all'oggi, soprattutto in conseguenza dell'applicazione dei metodi estrattivi sempre più elaborati e scientifici. La produzione "aurea" antica e medievale può quindi considerarsi modesta se messa a confronto con quella post-medievale e moderna. L’estrazione in profondità, nel senso moderno o quasi della parola, era sconosciuta: l’impossibilità di disporre di una potenza capace di sollevare forti quantitativi di minerale da grandi profondità, di provvedere con una opportuna ventilazione contro il calore e le emanazioni gassose e, più importante di tutto, di salvaguardarsi con appropriati sistemi di "pompatura" dal pericolo mortale delle inondazioni causate dai corsi d’acqua sotterranei (pericolo che rimase inevitabile fino allo sviluppo delle macchine verificatosi nel diciottesimo secolo) rendeva altrettanto impossibile cercare l’oro a profondità maggiori di quanto lo potesse permettere un pozzo verticale o inclinato di limitata profondità o una breve galleria. La ricerca dell’oro nell'antichità era essenzialmente un lavoro di superficie o quasi: le vene più profonde ramificate nella terra erano riservate all’era della meccanica.

E' però possibilissimo, d'altra parte, che la produzione (o il rendimento) durante i cinque millenni anteriori al XV sec. fosse invece notevolmente maggiore di quanto si sia talvolta supposto. Benché lo sfruttamento in profondità consentito dalla scienza e dai macchinari abbia reso possibile nei tempi moderni seguire i giacimenti auriferi fin nelle viscere della terra a profondità che superano talvolta i 3500 metri, dove la temperatura può giungere benissimo fino a oltre 38°C, esso é tuttavia un procedimento assai costoso; oggi, per ricavare in un anno circa 400 tonnellate di oro, cioè un cubo di circa tre metri e mezzo di lato, il gruppo minerario Rand del Sud Africa deve talvolta estrarre e macinare più di 60.000.000 di tonnellate di minerale grezzo, cioè, diciamo, una massa molte volte maggiore di quella della piramide di Cheope, il che comporta l'investimento di forti capitali in macchinario, una imponente manodopera e una immensa riserva di forza motrice. Nei secoli antichi, invece, i metodi di estrazione dell’oro erano infinitamente più semplici e inoltre le circostanze possono essere state tali da consentire un rendimento relativamente elevato, come si può dedurre dalle considerazioni che seguono.
Come tutti gli altri elementi metallici della crosta terrestre, l'oro seguì tutti i processi naturali conseguenti alla formazione, alla compressione, alla riformazione e agli sconvolgimenti della crosta terrestre stessa. Moltissime vene aurifere si trovano nell'immediata vicinanza di rocce granitiche, e il quarzo aurifero é una delle fonti più ricche di oro, dove gli squarci della crosta terrestre sono stati riempiti di quarzo e l'oro è stato compresso a caldo a grandi profondità. Tali vene, assieme ad altre di diversa formazione geologica e spesso situate a minori profondità, sono state in molti punti riportate verso la superficie dagli sconvolgimenti della crosta terrestre. Il minerale cosi affiorato è stato poi esposto a milioni di anni di pioggia, di gelo e di vento e si è disintegrato in depositi alluvionali alla superficie della terra o in prossimità di essa, dove l’oro, essendo virtualmente insolubile e resistente a tutti gli agenti chimici della natura, si è raccolto come metallo di sedimentazione spesso di considerevole purezza. Per il suo peso specifico elevato, l’oro ha avuto tendenza, in tali circostanze, a raccogliersi in masse che, in seguito alla compressione esercitata dal tempo e anche da nuovi depositi alluvionali formatisi su di esse, si sono consolidate in blocchi o pepite: queste ultime sono talvolta piccolissime, dei semplici granellini; ma talvolta anche molto grandi. La pepita di Ballarat, detta "Welcome Stranger”, trovata nel 1869, pesava quasi 160 libbre (vedine foto e misure!!!); quella di Peacock, proveniente dal Sud Africa, oltre 12 libbre; e una recente relazione riferisce che nei campi auriferi del fiume Lena, in Russia, é stata trovata una pepita di quasi 30 libbre.
Nei luoghi in cui l’oro alluvionale é andato a depositarsi nel letto di un corso d’acqua, la corrente lo ha trasportato ad altitudini più basse e i grani pesanti di metallo si sono depositati dovunque le correnti lo permettessero, formando altri depositi in prossimità della superficie e, in determinate circostanze, consolidandosi ancora in forma di pepite. E' ovvio che l’oro alluvionale si possa ritrovare sparso lungo vaste estensioni di superficie, a seconda delle zone attraversate dai corsi d’acqua che lo trasportano. Talvolta i granelli d'oro sono piccolissimi, essendo stati frantumati nella corsa turbinosa di un fiume roccioso, e rimangono invisibili, nascosti tra la sabbia, la ghiaia e i minutissimi frammenti di roccia. E' questo il caso dell’oro prodotto oggi nel Sud Africa nell'area della Rand: i "banchi” sono costituiti da sottili strati di conglomerato roccioso che, almeno secondo una teoria, rappresentano un deposito sedimentario, a sua volta spinto in basso e ricoperto da un altissimo strato di nuovi depositi rocciosi. Lo stesso dicasi dell’oro trovato a Nome nell’Alaska, dove prima della grande recessione del livello del mare l’azione delle onde e delle correnti provocò la formazione di sottili depositi aurei su litorali che oggi si elevano fino a 25 metri sul mare.
Quando gli uomini incominciarono ad accorgersi veramente della presenza dell’oro e a desiderarlo attivamente, si trovarono quindi a portata di mano l’accumulo di milioni di anni di azione eluviale e alluvionale. Quasi certamente le prime scoperte debbono aver rivelato l’oro sotto forma di pepite, e possiamo giungere ad accettare (con Strabone) la drammatica narrazione di Posidonio, secondo cui il violento incendio di una foresta fece risalire alla superficie una colata del prezioso metallo; lo stesso inverosimile fenomeno venne attribuito nel diciottesimo secolo alle Alpi e ai Pirenei, e la scoperta dello stagno avvenuta a Sumatra nel 1710 si dice sia stata dovuta all'incendio di una casa. La verità è certamente molto più semplice. Un albero viene sradicato, e tra le sue radici si vedono luccicare piccoli granuli di oro sedimentario (come è avvenuto per l'argento di Potosi nel Perù). Una valanga o una frana scoperchia la superficie del suolo e fa affiorare l'oro. O più semplicemente, un uomo scava una buca o un pozzo e trova oro di sedimentazione: le grandi scoperte di oro effettuate in Russia al principio del diciannovesimo secolo presentano molti casi analoghi di pepite, grandi e piccole, trovate nella zona degli Urali Merid. immediatamente al di sotto della superficie del suolo, non più in fondo, in taluni casi, di quanto potrebbe normalmente scavare una giovane donna.
L'immagine dei primi cercatori d’oro che si trovarono di fronte a giacimenti eluviali o alluvionali di immensa ricchezza, formatisi naturalmente durante tutto l'enorme lasso di tempo intercorso dalla solidificazione e dall'assestamento della crosta terrestre, non è affatto oziosa. Per gli antichi poeti e scrittori come Esiodo, l'Età dell’Oro era un’epoca di perfezione primitiva nella quale gli uomini vivevano in pace e in armonia senza bisogno o desiderio di leggi restrittive o di guerre distruttrici. Sarebbe ovviamente sciocco considerare la civiltà primitiva sotto un aspetto così roseo. E' verosimile tuttavia che l’uomo, ai suoi primi approcci con i metalli, abbia trovato l'oro a portata di mano in quantità strabilianti e che, anche se non ne trasse un vantaggio - perché a causa della sua scarsa durezza non poteva essere impiegato per la fabbricazione di utensili di uso pratico - la tradizione di questa abbondanza naturale si sia trasmessa alle epoche posteriori, quando l’oro era tenuto in così alto pregio. Sono stati calcolati (se di calcolo si può parlare) i quantitativi totali d'oro esistenti nel mondo antico; si é visto, per esempio, che alla fine dell’ottavo secolo della nostra Era le riserve auree complessive non superavano le 250.000 libbre circa. E' sicuramente accertato che le riserve dell'antichità erano immensamente inferiori a quelle di oggi, la cui origine (motivo di queste ultime) si deve, in tutto il mondo, a metodi altamente organizzati e meccanizzati nel frattempo sviluppatisi. Ma che esse fossero realmente tanto esigue rispetto a quelle post-medievali è assai dubbio, e non é avventato considerare con qualcosa di più che non sia semplice meraviglia o incredulità, le clamorose narrazioni degli antichi scrittori come, per esempio, quella secondo cui "in Peonia si dice che quando la pioggia prende a scrosciare in continuazione e il suolo si sgretola, si trova dell’oro che viene detto "crudo"...un uomo vi trovò due "blocchi" e li portò al Re; uno di essi pesava tre mine e l’altro cinque (la mina era poco più di una libbra). Oppure un'altra che riferendosi alla Spagna dice che “la polvere d'oro brilla nei luoghi in cui i fiumi straripano" e che nelle regioni nord-occidentali "dal suolo germoglia l'argento, lo stagno e la lega d’oro e d’argento". Anche senza una Età dell'Oro allietata dalla pace universale, é possibile tuttavia che vi sia stata una età aurea primitiva nella quale i vasti giacimenti naturali e superficiali ebbero la loro parte in relazione sia all’esiguità della popolazione, sia a quella delle attività commerciali, e che divenne memorabile fino a sfociare nella leggenda.
Di contro a questo quadro preistorico possiamo collocare quello attuale: un vasto programma di esplorazione intensiva reso possibile da sistemi sempre più scientifici di ricerca e svolto con metodi meccanici e profondamente selettivi. Un'industria che, per esempio nel caso della Rand, la quale iniziò la sua attività quasi tre quarti di secolo addietro sulla base di più once d’oro per tonnellata (estratto e raffinato con metodi relativamente semplici), offre oggi profitto anche dove il rendimento è solo di 4 pennyweight, meno di un quarto di oncia, e dove è necessario spendere qualcosa come 15.000.000 di sterline prima di poter ricavare un solo grammo d'oro. Nella stessa zona vengono scavate ogni anno più di 60.000.000 di tonnellate di minerale grezzo da pozzi e gallerie sotterranee che, se venissero messe in fila, formerebbero un budello che attraverserebbe quasi tutto il globo da parte a parte.

Sostanzialmente, il quadro è sempre lo stesso, sia che ritragga la situazione del secolo attuale, sia che rappresenti i primi cercatori d’oro, sia che si riferisca ad una qualunque età intermedia, perché la sete dell'oro nell’uomo non si é mai placata e in cerca di esso, come già sentenziava solennemente Plinio il Vecchio, gli uomini esplorano ogni vena della terra e si insediano sul suo guscio svuotato; e sin dai tempi più antichi esso ha conquistato nella storia della loro economia un posto che (come é stato ben detto) è del tutto sproporzionato all'aiuto che esso ha loro fornito nella lotta contro la Natura.
Qual'è allora la forza del suo richiamo? Si possono elencare circa 150 sostanze alle quali in varie epoche e in varie parti del mondo é stato attribuito il medesimo valore universale, suddivise in misura quasi uguale tra quelle animali, vegetali e minerali. Dei minerali o metalli, alcuni come il rame, il ferro, il piombo e lo stagno, sono stati sempre tenuti in gran conto per la loro utilità pratica; anche l’argento è sempre stato apprezzato, ma per le sue qualità decorative e queste stesse qualità hanno fatto dell'oro il re dei metalli ovunque sia arrivata la sua conoscenza, perché l’oro è molto più scarso dell'argento, ed é curioso che, pur essendocene sempre stata disponibilità, la quantità in cui é stato prodotto sia sempre stata molto al di sotto della universale richiesta: ancor oggi che la produzione é incomparabilmente maggiore che in tutti i secoli precedenti, la richiesta continua tuttavia a mantenersi molto superiore alla disponibilità. Nondimeno la relativa scarsezza non è la sola ragione che spieghi questa eterna sete che talvolta ha toccato le vette della passione. Occorre che la scarsezza dell’oro sia accoppiata alla sua positiva bellezza perché esso possa esercitare una cosi travolgente attrazione, e appunto questa positiva bellezza, assieme alla relativa facilità con cui lo si può lavorare, ha dato all’oro nei secoli passati una posizione di privilegio unica.
Ed è bene sottolineare la frase "nei secoli passati" poiché se é vero che nel mondo moderno il bilancio monetario internazionale dipende in misura strabiliante dall’oro, cioè ne è strettamente correlato, é altrettanto vero che ci si accorge meno della sua esistenza e si è meno familiarizzati con la sua bellezza di quanto non si possa dire dei molti secoli precedenti. Vi sono molte persone al giorno d’oggi che non hanno mai preso in mano una moneta d’oro e che, non conoscendone le caratteristiche differenze di colore e di peso, arrivano persino a confondere l’oro con l'ottone. Ciò principalmente perché nelle condizioni economiche attuali il possesso dell'oro é diventato una prerogativa, se non un privilegio, degli Stati: la possibilità che l’individuo goda di ciò di cui i suoi antenati potevano tanto spesso godere è stata drasticamente ridotta, in parte a causa del controllo di Stato, in parte a causa del prezzo sempre più elevato. L’éra della chincaglieria ha quasi abolito l’uso dell'oro come ornamento personale, eccezion fatta per gli anelli (e collanine); e pur se verso il 1880 Ruskin diceva che l'ambizione di tutti i giovani sposi benestanti era di possedere una certa quantità di vasellame dorato, questo modo di pensare assume oggi un tono puramente arcaico. L'oro continua a rimanere prezioso come sempre, nonostante la sua produzione sia fortemente aumentata, ma le sue qualità puramente decorative sono ormai dimenticate o ignorate, all’infuori delle collezioni da museo o di talune speciali mostre.
Queste qualità decorative, comunque, sono state qualcosa di universalmente riconosciuto fino a pochissimo tempo fa, e ad esse si deve in gran parte la speciale posizione attribuita all’oro sin dai tempi più antichi. Il desiderio umano per le sostanze decorative è, a quanto pare, vecchio come l'umanità stessa. Nei tempi primitivi questo desiderio veniva soddisfatto con l’uso di oggetti naturalmente ornamentali che non richiedevano alcuna lavorazione. 

Prime fra tutti questi pare siano state le conchiglie, spesso trasportate a distanze enormi dal loro luogo d'origine per servire come articoli di abbigliamento pronti per l’uso e adatte per essere perforate e legate assieme. L’Era Paleolitica vide le conchiglie del Mediterraneo spingersi da una parte fino ai cacciatori di mammut del Dnieper e dall’altra ai cacciatori di renne della Francia centrale. Nella Media Età della Pietra, esse penetrarono più in là, nell'Europa centrale, e successivamente si spinsero verso il nord; da qui a sua volta provenne, un po' più tardi, l’ambra che tanto pregio assunse tra i popoli del Mediterraneo e dell'Egeo. Anche altrove le conchiglie erano tutt'altro che impopolari. I càuri (foto qui sopra) dell’Oceano Indiano e delle regioni a oriente di esso erano molto diffusi: Layard li trovò a Ninive, Marco Polo in Asia e in Cina, e anche gli Indiani della California ne facevano uso. Quanto agli articoli di vestiario, a quanto sembra, nelle regioni più calde essi non erano oggetto di ambizioni decorative nei tempi primitivi a causa delle loro proporzioni ridotte, mentre nelle regioni più fredde la loro stessa necessità li spogliava probabilmente da ogni ricercatezza estetica. Più universalmente ricercati erano invece gli accessori: prima le conchiglie, poi le perle e, un po' più tardi, le spille.
Riproduzioni di conchiglie, specialmente di càuri, fatte di metallo, sono state trovate nelle più diverse parti del mondo. In Birmania erano d'argento e di rame; In Cina erano d’oro, idem dicasi per i "modelli" di càuri trovati da Schliemann a Troia, provenienti probabilmente dall’Egitto dove sono stati trovati oggetti similari.

 

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Dal punto di vista degli antropologi: molto è stato scritto dagli antropologi sul significato, in parte magico e in parte religioso, dei càuri nelle civiltà antiche. Essi erano considerati simboli di vita e quindi, in un certo senso, anche amuleti vivificatori. La loro forma era alternativamente paragonata a quella della vulva, la porta del grembo materno, o a quella dell’occhio aperto, che in se stesso presuppone la vita e, per queste presunte somiglianze, le riproduzioni di càuri in oro, che è un metallo virtualmente indistruttibile, assumevano un notevole significato magico, come nel caso del càuri d'oro, che era considerato simbolo della dea-madre egizia Hathor non solo perché detta dea (immagine a lato) era in origine la personificazione delle conchiglie vivificatrici, ma anche perché era la divinità protettrice sia degli uadi (valloni risultanti da fiumi in seguito prosciugatisi naturalmente) orientali da cui si ricavava l’oro, sia del Mar Rosso da cui provenivano i cauri medesimi.

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Dal punto di vista degli storici: in contrasto con l'antropologo, lo storico segue invece un ragionamento diverso, cioè che le conchiglie, pur se di càuri, sono piuttosto fragili, perciò, se si ammette l'esistenza di una tradizione preistorica che considerava queste forme naturalmente ricurve e lievemente irregolari come la "quintessenza estetica" dell'abbigliamento personale, specialmente femminile, non si può negare la probabilità che si desiderasse poterle riprodurre in una forma permanente e durevole non appena ciò divenne possibile. Questa possibilità subentrò appunto quando venne trovato l'oro e si vide che esso era, nello stesso tempo, un metallo straordinariamente duraturo e facilmente lavorabile. Chi desiderava fabbricare da sé oggettini d’oro per ornamento personale, poteva farlo facilmente col semplice espediente di lavorare il metallo a freddo col martello; e se Hathor (la dea) era lo spirito tutelare di una regione aurifera dell’Egitto meridionale, questo fatto, pur se poteva stabilire, e probabilmente stabiliva, una relazione psicologica tra lei e l'oro, non implicava necessariamente un analogo legame con i càuri. In altre parole, la riproduzione delle conchiglie era null’altro che la conseguenza di un desiderio diffuso di dare permanenza, forza e nuova bellezza a una forma ornamentale esistente da tempo immemorabile.

Dal punto di vista metallurgico, dunque, l’oro costituì un problema tutt’altro che difficile per i primi artigiani ai quali mancava una vera e propria competenza nella lavorazione dei metalli. Esso può essere martellato a freddo e sebbene con la martellatura l'oro si indurisca progressivamente, tanto che per fabbricare un vaso d'oro con questo metodo occorrerebbe una sistematica ricottura (si dovrebbe cioè riammorbidirlo col calore e quindi raffreddarlo per indurirlo nuovamente) per permettere un riassestamento progressivamente flessibile della struttura cristallina, tali problemi non si ponevano allora a chi si accingeva al semplice compito di battere un ciottolino d’oro per foggiarlo in forma di conchiglia, di perla o di spilla. La stessa storia ci narrano i reperti peruviani appartenenti a un periodo relativamente recente che va dal diciannovesimo secolo a.C. in poi: i primi orafi di quella ricca zona aurifera martellavano a freddo le pepite naturali ricavandone tutta una varietà di oggetti, specialmente di oro laminato, come orecchini, spille, medaglioni e perle da collana. Dovunque si guardi, il legame tra l’uso primitivo dell’oro e il desiderio di ornamenti é fortissimo, e il fatto frequentemente citato che il geroglifico usato dagli Egizi per indicare l'oro era una collana di perle non fa che ricordarci che le perle d'oro costituivano la forma tecnicamente più semplice, e anche la più decorativa, di gioielleria antica. Nondimeno, è assai probabile che la stessa inalterabilità dell’oro gli abbia fatto assumere fin dal principio una posizione singolarmente elevata sulla scala dei valori metallici. Esso è resistente a tutte le normali alterazioni perché, pur potendo assumere diversi "titoli", specialmente in lega con il rame, non arrugginisce, non si scaglia, non si sfalda, né viene intaccato dai normali reagenti chimici la cui forza non sia quella dell'Acqua regia (miscela di acido nitrico e cloridrico). Se si dissotterra un mucchio di monete di rame, queste si possono presentare ricoperte da una spessa crosta corrosiva. Se si tratta di monete di argento, l'argento può apparire non corroso (tranne che sia notevolmente impuro), ma quanto meno macchiato e appannato al punto da essere addirittura bianco. Le monete d’oro invece conservano la stessa lucentezza di quando uscirono dalla zecca duecento o duemila anni fa e questa inalterabilità dell’oro ha quasi sempre esercitato una fortissima attrazione. La fantasia di alchimisti e di altre persone "esaltate" gli ha attribuito un legame mistico con l'immortalità: l’oro, avendo tutte le caratteristiche dell'immortalità, era per essi un simbolo di vita eterna e questo simbolo, se controllato e (letteralmente) infuso, poteva costituire un elisir di vita; pozioni di oro venivano prescritte anticamente in taluni casi di malattia e Plinio il Vecchio elencava alcune affezioni (fistule, ascessi, eczemi e ulcere) alle quali si poteva applicare col dovuto discernimento il trattamento esterno con l'oro. Nessuna meraviglia, dunque, che un metallo che sembrava sfidare tutti i pericoli della morte e della decomposizione abbia incoraggiato per tanti secoli tutti gli sforzi - filosofici, chimici, o anche solo ciarlataneschi - compiuti per analizzarne e quindi riprodurne la costituzione fondamentale, o che la sua stessa qualità di sostanza indeperibile, associata sia al suo bel colore giallo lucente sia alle accese speranze di farne un potente elisir vivificatore, abbia indotto gli alchimisti a scegliere per l'oro il segno del sole. Oggi, in un' epoca completamente diversa, e in una diversa fase di ricerca scientifica, quando un'altra forma di alchimia, infinitamente più sottile di quanto non si sia mai sognato, è diventata una faccenda di ordinaria amministrazione presso i centri di ricerca fisica, il richiamo dell'oro dev'essere inteso in un altro senso. Rispetto alla richiesta esso continua ad essere abbastanza scarso da mantenere alto il suo valore, e, sebbene quasi la metà della produzione aurea mondiale provenga da un solo paese, ne rimane tuttavia abbastanza anche altrove da impedire che diventi monopolio assoluto di una singola nazione. Di tanto in tanto giunge notizia della scoperta di nuovi giacimenti di grande ricchezza - per esempio, recentissimamente, a Quebec City - e non vi è nulla che faccia pensare che le riserve si esauriranno. Un elemento che ovviamente depone a suo favore é la sua permanente inalterabilità, oltre al fatto che, a differenza di altre sostanze preziose, come i diamanti, esso è divisibile. Nessuna di queste qualità basta però da sola a giustificare il richiamo che l'oro ha sempre esercitato in passato sulla mente degli uomini. Vero é che l'oro é stato frequentissimamente la sostanza che ha costituito le enormi riserve accumulate dai re e dagli Stati in forma di lingotti, da quelle di Dario di Persia a quelle degli odierni Stati Uniti, nelle quali si trova immagazzinata più della metà della disponibilità aurea mondiale. Ma in quasi tutte le epoche passate l'oro é stato considerato come qualcosa di più che una riserva di ricchezza o una misura valutaria quale ha anche rappresentato sotto forma di moneta. Perché esso è stato il metallo decorativo per eccellenza, prediletto dai grandi e dai ricchi come mezzo di ostentazione, prediletto dai ceti inferiori (quando erano in grado di procurarselo) per la bellezza del suo colore, del suo splendore e del suo aspetto, prediletto dagli orefici per le splendide possibilità di lavorazione che offriva.
Quest'ultima qualità è davvero impressionante. L’oro é estremamente duttile, quasi come il piombo, e ad uno stato abbastanza puro è anche straordinariamente malleabile. Lo si può facilmente battere a freddo (come abbiamo già osservato), e di questa sua proprietà si fece sempre più tesoro gia in tempi antichissimi, quando l'oro veniva battuto in fogli sempre più sottili man mano che la tecnica migliorava. Plinio il Vecchio scriveva che da un’oncia d’oro si potevano ricavare più di 750 fogli “misuranti quattro dita per ogni lato". Oggi si può con metodi ereditati dagli orafi medievali e accuratamente perfezionati, battere un'oncia troy fino a farne una pellicola sottilissima che potrebbe coprire una superficie di circa 10 metri quadrati, di uno spessore inferiore a 1/10.000 di millimetro: tanto sottile, dunque, da essere trasparente; si è anzi riusciti ad ottenere da un solo grano di oro un foglio dello spessore di circa 1/14.000 di millimetro - mille volte più sottile della carta normale - tale da coprire una superficie di quasi 5 metri quadrati. Inoltre, se durante questo processo (nel quale per ridurre l’oro in fogli sempre più sottili lo si batte per alcune ore disponendolo tra pezzi di budello di bue appositamente preparati) il metallo dovesse rompersi o bucarsi, il rimedio é semplice. Perché l'oro può essere saldato a pressione: in altri termini, la sua malleabilità è tale che il "flusso" del metallo sotto pressione produce un calore interno sufficiente a far aderire le parti staccate; e come il dentista riduce l’oro in una massa compatta con la sola pressione manuale introducendolo nella cavità di un dente cariato, così il battiloro ripara perfettamente un pezzo d’oro difettoso saldando col martello una nuova lamina sulla parte incrinata oppure rotta.
Oltre ad essere cosi straordinariamente malleabile, l'oro è anche estremamente duttile; e anche qui le statistiche presentano una casistica sorprendente. Un grano d’oro può essere tirato fino a formare un filo di quasi 200 metri di lunghezza, e un'oncia ne fornisce non meno di 80 chilometri, mentre per ricavare il “filo d'oro" usato per ricami e tessuti (da cui ha tratto il nome la “carta da tessuti" particolarmente designata per essere collocata tra le pieghe di siffatti tessuti) un’oncia d’oro laminato in forma di foglio sottilissimo basta da sola a fornirne più di 1500 chilometri. Nessuna sorpresa, dunque, che per queste sue qualità l’oro abbia fatto la predilezione di orefici e gioiellieri, poiché, per la sua morbidezza, lo si può plasmare e incidere con la massima facilità, e una volta creata l’opera d'arte, questa si mantiene inalterata e resistente a qualunque forma di offuscamento o di decomposizione.
Quando l’uomo moderno, ormai relativamente poco avvezzo all'oro, rivolge uno sguardo attento a questo metallo, non può non accorgersi delle qualità che abbiamo or ora accennate. Sia che si guardi un piccolo gioiello, sia che si ammiri un grande vaso d'oro massiccio (e non uno di quei "piatti d'oro" che spesso non sono altro che argento fortemente dorato), o i lingotti d’oro scrupolosamente fabbricati e rifiniti in una grande raffineria, la prima impressione - a parte quella di una meravigliosa colorazione - è quella di una non comune morbidezza. La forma del gioiello o del vaso fabbricato può anche presentare una marcata angolosità, come per esempio nel caso di un braccialetto a spirale dell'Età del Ferro - una sottile sbarra quadrangolare d'oro squisitamente ritorta in una spirale regolare - o di un vaso scannellato a spigoli vivi. Ma la superficie stessa del metallo ha in sé una liquidità e una lucentezza che nessun altro metallo sembra possedere, e ciò é forse più evidente in un lingotto appena uscito dalla raffineria, quando il metallo, pur essendosi indurito e raffreddato, presenta una levigatezza e una morbidezza curiosa che producono effetti di luce meravigliosi, riflessi dal suo colore naturale.
E la morbidezza e plasticità della sua costituzione, la bellezza del suo colore e la sua calma lucentezza (che non è un luccichio) sono probabilmente le qualità che, a prescindere dalle proprietà metallurgiche che lo hanno sempre fatto preferire dagli orafi e dai gioiellieri, hanno conferito all’oro in quasi tutte le epoche passate la sua suprema attrattiva. Nella gioielleria decorativa la morbidezza della sua costituzione ha portato in passato alla creazione di piccoli oggetti, spesso di fattura stupendamente squisita, nei quali le curve erano fatte in modo da ricavare il massimo effetto di luce da una determinata superficie. In oggetti di dimensioni maggiori, come i vasi d'oro, i fantastici addobbi delle tombe reali egizie, o i classici capolavori degli orafi del Rinascimento e del periodo successivo, il metallo è stato generalmente usato in modo tale da esporre al massimo il giallo splendore della superficie e nello stesso tempo sfruttare il più possibile l’effetto stesso della morbidezza delle curve. A seconda dell'uso a cui è destinato l’oggetto fabbricato, l'oro può dunque produrre effetti di estrema delicatezza per la grande versatilità con cui si presta ad essere lavorato, o colpire fortemente l'occhio col suo giallo splendore, o (nelle mani di un grande artista come il Cellini) riunire assieme queste due virtù. Anch’esso, ovviamente, può prestarsi come qualunque altro materiale decorativo a composizioni volgarmente pacchiane, ma se trattato con buon gusto può riuscire molto più bello di quasi tutti gli altri materiali e ciò è probabilmente dovuto alla combinazione del suo seducente colore naturale, della sua lucentezza, della sua tenerezza di costituzione e della delicatezza con cui può essere lavorato.
E sono ovviamente queste le ragioni per cui molti periodi della letteratura sono stati definiti "aurei". Solo in via secondaria tale aggettivo è stato usato nel senso della rarità: il suo principale e costante significato é sempre stato quello di qualcosa di naturalmente bello, naturalmente desiderabile, naturalmente superiore. L'effetto risultante di tutte queste attrattive è magnificamente illustrato dall’iniziativa presa dal Re Carlo I, il quale ordinò che tutti gli orefici di Londra si raggruppassero in Cheapside e in Lombard Street (allontanando, quando necessario, e trasferendo altrove, le altre categorie di commercianti), in modo che quella zona fosse di "ornamento... e lustro alla citta", trovandosi su un percorso che conduceva al centro di essa e per cui passavano spesso visitatori stranieri "importanti" (e impressionabili ... ). La stessa attrattiva si rispecchia, se pur in termini caratteristicamente diversi, nelle parole di Ruskin: dopo aver osservato che spesso l’arte dell'oreficeria è stata come un trampolino di lancio per uomini che in seguito sono diventati grandi pittori e scultori, come il Francia, il Ghirlandaio, il Verrocchio e il Ghiberti, egli aggiunge che "L’oro ci é stato dato, fra le altre cose, perché potessimo eternare nel suo intramontabile splendore capolavori di bellezza e perché gli artisti dotati della più estrosa fantasia potessero disporre di un materiale che si lascia battere e plasmare come il loro estro desidera e nello stesso tempo si mantiene compatto con fantastica tenacità".

L'estrazione dell'oro dalla terra è stata per lungo tempo difficile. Ma altrettanto grande é stata la ricompensa rappresentata dalla sua bellezza, dal suo valore e dalla sua inalterabilità. Diodoro Siculo, nel primo secolo a. C., sentenziava con tutta l'enfasi retorica degli antichi scrittori: "La natura stessa ci mostra chiaramente che la produzione dell’oro è laboriosa, la sua custodia difficile, il desiderio di esso grandissimo e il suo uso conteso tra il piacere e il dolore".

 

NOTA di ZG: dove ritenuto opportuno ho modificato o aggiunto alcuni termini e fraseggi per rendere il tutto più comprensibile, meno tecnico e forbito, ma più conforme al linguaggio comune odierno: inoltre, dove si parla di spazi temporali, per orientarsi considerare che questa relazione è della seconda metà del 1900

 

 

 

 

 

 

 

 

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