| |
Si tratta di
una recente (vasta e colta) relazione del dott. Pipino riguardante la
Bessa in generis, la Serra d'Ivrea nel dettaglio e l'oro presente in
detta area. E' qui distribuita in
quattro pagine e pone finalmente chiarezza sull'argomento.
|
|
L’ORO NEL FRONTE MERIDIONALE DELL’ANFITEATRO
MORENICO D’IVREA E NELLA BASSA PIANURA VERCELLESE.
Interesse storico, conseguenze
geo-politiche, |
testimonianze
archeologiche. |
Giuseppe Pipino |
|
Lungo il fronte
meridionale dell’Anfitetro Morenico di Ivrea si trovano le testimonianze
di antiche coltivazioni di terrazzi fluvioglaciali auriferi (aurifodine),
da me localizzate sulla base di vecchie segnalazioni, di indizi
toponomastici e, soprattutto, di analogie giaciturali. La scoperta risale
al 1987, nel corso di una dettagliata raccolta di indizi “auriferi”,
in tutta Italia, fatta per conto di AGIP Miniere, e ne diedi subito
segnalazione alla Soprintendenza Archeologica per il Piemonte, avvertendo
che doveva trattarsi “…delle aurifodinae coltivate dai Salassi, a cui
si riferisce Strabone, che vengono generalmente, ed erroneamente,
scambiate con quelle della Bessa nel Biellese”. La mia segnalazione non
ebbe alcuna risposta: venni poi a conoscenza che, nel contempo, la stessa
Soprintendenza aveva presentato un progetto di finanziamento per l’ “Area
mineraria della Serra”, nel quale affermava che “…La Bessa…è la
sola miniera d’oro d'età romana in Italia” e che “…la prima
attestazione delle fonti…riguarda l’intervento romano del 143 a.C.,
mirato a dirimere la disputa tra Libui di Vercellae e Salassi a causa
della deviazione dell’acqua (della Dora) da parte di questi ultimi per
il lavaggio dell’oro” (Sopr. Arch. Piem., 1987).
|
In seguito, non potendo pubblicare i dati raccolti su committenza, diedi
comunque segnalazione della cosa in alcune pubblicazioni (1989-2010),
nelle quali, tra l’altro, mettevo in evidenza, e contestavo, altre
imprecisioni che venivano man mano pubblicate da vari funzionari della
Soprintendenza. Quindi ritengo ora di poter |
NOTA.
I tasti qui a destra vi consentono di proseguire la lettura di questa
relazione; se invece volete visionare alcuni paragrafi dell'ultimo libro
di Pipino (al 2012), dedicato anch' esso alla storia della Bessa e al suo oro
vi basta cliccare qui |
e dover
pubblicare quanto a suo tempo raccolto e relazionato,
convinto che i dati siano di fondamentale interesse per la conoscenza
storico/mineraria dell’area in esame e che consentano di portare
elementi decisivi per definire il secolare dibattito sull’argomento. Le mie ricerche
avevano riguardato anche la piana alluvionale vercellese, a valle dell’Anfiteatro,
per la quale anche ho dovuto confrontarmi con dati geologici, storici e
geografici contrastanti, contrasti che ho cercato di dirimere utilizzando
il solito filo conduttore: un filo d’oro, naturalmente. |
|
Le aurifodinae dei Salassi: fonti storiche e
travisamenti moderni.
|
Intorno al 18
d.C. Strabone scriveva, nel IV libro della Geografia dedicato alla Gallia
(6, 7): “Nel paese dei Salassi vi sono miniere d’oro, che una volta
venivano da loro sfruttate, quando erano padroni dei passi. Il fiume Dora
era molto utile nella ricerca del metallo, per poter setacciare l’oro,
ma dividendo l’acqua in più punti, per portarla nei canali, finivano
per svuotare l’alveo principale. Se questo favoriva chi si dedicava alla
raccolta dell’oro provocava danni ai contadini delle pianure
sottostanti, privati dell’acqua per irrigare... Per questo motivo
scoppiavano continuamente guerre tra le due popolazioni... Dopo la
conquista dei Romani, i Salassi furono privati dei terreni auriferi e del
proprio paese, ma abitando le zone più alte della catena montuosa,
vendevano l’acqua ai pubblicani che sfruttavano le miniere d’oro, ed
erano sempre in lotta con questi per la loro cupidigia. Perciò i
comandanti romani, inviati sul posto, trovavano sempre pretesti per far
loro guerra”. La fonte dell’autore
greco è certamente Tito Livio, del quale, per quanto riguarda il passo
citato, ci è pervenuto soltanto l’epitome del libro LIII, che dice:
“…il console Ap. Claudio domò i Salassi, gente alpina”. Da Autori
successivi (Dione Cassio, XX, fr. 74, 1; Orosio, V, 7, 4; Obsequiente,
21), che pure ebbero a riferimento Livio, apprendiamo che nel 143 a.C. il
console Appio Claudio, inviato da Roma per mettere pace fra i litiganti,
assalì senza ragione i Salassi, subendo una pesante sconfitta e la
perdita di 5000 soldati; ricevuto rinforzi da Roma, nel 140 vinse
uccidendo, a sua volta, 5000 Salassi. Le fonti
storiche, contrariamente a quanto sostenuto da Autori recenti, ci dicono
che i Salassi erano Galli, non Liguri, e, riferendosi ai contrasti,
parlano genericamente di vicini, non della popolazione dei Libici o Levi (vercellesi),
anzi Dione Cassio usa un termine traducibile con “compatrioti”: per
ALBERTI (1568) i contrasti erano sorti, nell’ambito della stessa
popolazione dei Salassi, fra “…coltori de’ campi con quelli che
cavano l’oro”, e, con l’intervento dei Romani, i Salassi “…rimasero
senza guadagno dell’oro e senza frutti de i campi”. Inoltre, non è
affatto certo, anzi è molto improbabile che i Romani, con quella
vittoria, penetrassero nell’anfiteatro morenico, dato che le aurifodine
si trovavano sul fronte esterno dell’anfiteatro e l’acqua necessaria
per i lavaggi non poteva che provenire dalle colline moreniche: il
territorio sottratto dai Romani ai Salassi, insieme alle miniere, non
poteva quindi che essere la sottostante pianura. Soltanto quarant’anni
dopo, nel 100 a.C., a seguito della vittoria di Mario sui Cimbri, i Romani
penetrarono nell’anfiteatro e vi costituirono la colonia di Eporeida
(Ivrea) che, come dice ancora Strabone (IV,6,7), fu fondata per difesa
contro i Salassi, ma questi continuarono a lungo a creare problemi. Nel
successivo libro della Geografia, dedicato all’Italia, dopo aver
avvertito che le miniere d’oro non erano più coltivate come una volta
non perché fossero esaurite (vedi nota a piè pag.),
ma perché quelle della Gallia transalpina e della Spagna erano più
produttive, Strabone afferma ancora: “…vi era una miniera d’oro anche
a Vercelli; questo e un villaggio vicino a Ictimuli, anch’esso un
villaggio” (V,1,12). Pochi decenni dopo, Plinio scriveva: “…C’e
una legge censoria per le miniere d’oro di Ictimuli, nel territorio
vercellese che una volta venivano cavate, la quale imponeva ai pubblicani
di non usare piu di 5000 uomini”. Queste ultime
aurifodine, dopo
pluridecennali controversie, sono oggi giustamente, e (quasi)
universalmente, collocate nella regione della Bessa (SELLA 1869, CALLERI
1985). Resta la questione del vicino villaggio, Ictimuli (forse S. Secondo
di Salussola) che, nonostante la precisazione di Strabone, la quasi
totalità degli autori confonde col nome di una presunta popolazione, gli
Ictimuli o Vittimuli, che è ignorata da Plinio e da tutti gli Autori
antichi, e della quale credo di aver dimostrato l’inesistenza, in due
recenti pubblicazioni (PIPINO 2000 e 2004). C'è poi la
confusione fra queste miniere e quelle coltivate dai Salassi, in quanto,
nonostante le specifiche e distinte descrizioni di Strabone, la maggior
parte degli Autori moderni continua a confonderle e a identificarle, con la
generale convinzione che Strabone abbia sbagliato il nome del fiume, o che
questo (la Dora Baltea) abbia potuto essere portato nella zona della Bessa
con fantastiche canalizzazioni sopraelevate
(MICHELETTI 1980). Pochi
autori, pur tenendo distinte le due aree minerarie, cercano quelle dei
Salassi nei monti della Valle d’Aosta, ma, come gli altri, ritengono
comunque che i passi di Strabone contengano “…contraddizioni e
incongruenze” (PERELLI 1981). |
Le due aree minerarie erano state tenute
nettamente distinte da DURANDI (1764) e da BRUZZA (1874). Fu RUSCONI
(1877), mi pare, ad operare una prima confusione fra Salassi e Ictimuli:
egli accetta l’opinione di Durandi, secondo la quale gli Ictimuli non
erano una popolazione, ma una categoria di lavoratori (minatori) che
sfruttavano aurifodine lungo la Dora Morta, e afferma che “… Oltre l’aurifodina
sulla Dora gli Ictimuli ne possedevano varie altre non molto distanti, le
quali furono poi denominate della Bessa, quando al dominio de’ Salassi
subentrava nel Vercellese il dominio Romano”; aggiunge, inoltre, che
“…i Salassi si estesero nel grande piano dov’e Vercelli, e attestano
la presenza e l’impero loro le localitaà di Saluzzola, Salasco…le varie
Sale di Mongrando…che trovansi disseminate lungo il territorio occupati
da questi Salii, Saliaschi, Salassi”. Ora, noi
sappiamo che i nomi delle località derivano invece dal longobardo sala
(CAVANNA
1966 esucc.) e meraviglia molto che ancora in tempi recentissimi un alto
funzionario della Soprintendenza (GAMBARI 1999) possa associarli ai
Salassi. Le argomentazioni di Rusconi furono subito contestate da
Schiaparelli, che lo accusava, tra l’altro, di fare confusione fra
Ictimuli e Salassi “…popoli di origine diversa e abitanti in regioni
diverse”, e sosteneva che “…la questione delle miniere dei Salassi
non debba confondersi con quelle degli Ictimuli”. Le critiche erano
contenute in una lettera privata, inviata a Quintino Sella e rimasta
sepolta fino a tempi recenti (CALLERI 1985, PIPINO 2005): resta la
convinzione di questo Autore, evidentemente influenzata da MULLATERA
(1776), che gli Ictimuli fossero una popolazione e, come tale, ne scrive
successivamente (SCHIAPARELLI 1896). Questa errata convinzione è stata
poi accolta e divulgata da autori successivi senza considerare che
proveniva da un mediocre storico locale e da un buon medievalista, non da
un classicista. NISSEN (1902), ubica senz’altro i lavori dei Salassi
nella zona della Bessa, e, considerato che “…il letto della Dora è
troppo profondamente incassato perché il corso del fiume potesse essere
deviato per il lavoro dei cercatori d’oro”, ipotizza addirittura che
possa trattarsi del Cervo, nel quale erano state estratte grosse pepite.
Segue PAIS (1916), che scrive: ”…Non e certo da escludere, sebbene ci
manchino dati precisi al proposito, che i Salassi abbiano posseduto parte
del territorio in cui erano le aurifodinae di Victumulae”, e prosegue
ipotizzando, anche lui, che il nome di Salussola possa derivare dai
Salassi. Dall’altra parte, GRIBAUDI (1928) sostiene che “…Un’analisi
accurata di questo passo "straboniano" dimostra all’evidenza che,
contrariamente alla comune opinione, i Salassi prima, e poi, dopo l’intervento
romano, gli appaltatori, non traevano gia l’oro dalle sabbie dei
torrenti alpini, o dalla Dora, ma da vere e proprie miniere” e continua
affermando che, nel caso contrario, “…di lavori così grandiosi qualche
traccia dovrebbe pur essere rimasta”. L’affermazione si basa su
argomentazioni semantiche: Strabone usa infatti due termini diversi per
indicare le miniere dei Salassi e quelle di Ictimuli e, secondo Gribaudi,
il primo indicherebbe miniere in roccia. Della stessa opinione sono
BERETTA (1954) e PERELLI (1981), i quali ritengono che le miniere oggetto
del contendere non siano di tipo alluvionale, ma vadano ricercate nei pressi
di Bard o nella Valle dell’Evançon (Val d’Ayas) e per esse sarebbero
stati utilizzati torrenti locali, accomunati da Strabone col nome generico
di Dora. Ma Strabone non era un geologo e attingeva da scarne notizie di
autori precedenti, non poteva quindi fare distinzione fra miniere di tipo
primario o secondario, distinzione che, fra l’altro, non sembra propria
dei termini usati: anche in latino vi erano due vocaboli per indicare le
miniere d’oro, aurifodinae e aurariae, che non riflettono differenze
geologiche, tutt’al più un’estensione, nel secondo, alle attività
metallurgiche connesse alla miniera. Inoltre, l’affermato utilizzo delle
acque di un fiume non può che riferirsi a un giacimento di tipo
alluvionale: evidentemente, i nostri autori non hanno considerato che per
la coltivazione di giacimenti auriferi primari (in roccia) non c’è alcun
bisogno d’acqua se non, in quantità insignificante, per operazioni
accessorie. Anzi, uno dei problemi di coltivazione è proprio
rappresentato dalla circolazione di acque sotterranee (e se ne sono
accorti i coltivatori, fra Otto e Novecento, dei filoni auriferi della Val
d’Ayas). L’identificazione fra le due aree minerarie e, quindi, la
presunta attività dei Salassi nelle aurifodine della Bessa, continua
comunque a d essere ripetuta in articoli e segnalazioni di funzionari della
Soprintendenza (BRECCIAROLI TABORELLI 1988, 1996, GAMBARI 1990-91, 1998,
1999), nonostante le evidenti contraddizioni, più volte da me segnalate.
Infine DOMERGUE (1998), ingaggiato dalla Soprintendenza per la sua
trentennale esperienza di studio delle aurifodine spagnole, cerca, con l’aiuto
di foto aeree, depositi simili a quelli della Bessa nei“…lembi di
terrazzi conservati sulle rive della Dora Baltea a monte di
Pont-Saint-Martin”, e non trovandoli si adegua alle ipotesi dei
funzionari citati e afferma, tra l’altro: “…nulla si oppone a che la
Bessa sia la miniera d’oro dei Salassi di cui parla Strabone”; per
quanto riguarda le acque necessarie per i lavaggi, ritiene che possano
essere quelle della Dora Baltea, condotte nella Bessa con "…un
acquedotto lungo piu di 100 Km…" di cui non si può totalmente scartare l’ipotesi,
ma sbarazzata delle fantasie immaginarie di Micheletti, oppure, più
verosimilmente, quelle della Viona, che sarebbe stata indicata da Strabone
col nome generico di Dora. All’illustre
professore sfugge il fatto che,
trovandosi le aurifodine della Bessa sul bordo esterno dell’anfiteatro
morenico d’Ivrea, appare logico, dal punto di vista geomorfologico e
giacimentologico, cercare eventuali altri depositi simili in analoga
posizione, e non all’interno dell’arco morenico e molto distante da
esso; inoltre, nella zona da lui indicata i terrazzi sono pochissimo
rilevati ed esondabili nel corso delle frequenti piene, spesso disastrose,
che avrebbero comunque impedito la conservazione di eventuali tracce di
coltivazioni antiche. La mia prima attenzione era invece stata rivolta ai
terrazzi alti situati dalla parte opposta dell’anfiteatro, rispetto alla
Bessa, e vi trovai discrete tracce nella boscaglia dei Ronchi, a sud
Baldissero Canavese, in piena area Salassa; poi, aiutato anche da alcune
segnalazioni bibliografiche e da relazioni inedite, individuai
testimonianze più numerose e consistenti lungo tutto il fronte
meridionale dell’anfiteatro morenico (PIPINO 1989, 1990, 2001). Alcune
delle testimonianze erano già state segnalate in pubblicazioni più o
meno note, ignorate o snobbate dai nostri: DURANDI (1764), che aveva
operato una netta distinzione storica fra le due aree minerarie e
ipotizzato che Strabone non si riferisse alla Dora Baltea, ma alla Dora
Morta, aveva localizzato i lavori dei Salassi alle falde dell’Anfiteatro,
in località Torano, dove “…parecchie profonde escavazioni…vi si
veggono tuttavia”; CASALIS (1842), trattando di Mazzé, aveva affermato
che “…Secondo un’antica tradizione, si crede che il tenimento di
questo territorio che chiamasi Bose e trovasi tuttora incolto, a levante
della strada che tende a Rondissone, sia stato intieramente smosso al
tempo in cui i romani mandarono i loro schiavi ad estrarre l’oro dalle
miniere del Vercellese”, e la notizia era stata ripresa da BRUNO (1877)
e da SACCO (1888), che pure paragonano i depositi di Mazzé a quelli della
Bessa. Da quanto esposto, appare già evidente che non c’è alcuna
ragione di confondere le due aree minerarie, citate distintamente da
Strabone, non c’è ragione di supporre (o dare per certa) l’attività
dei Salassi nella zona (libico-vercellese) della Bessa, e non c’è
nemmeno ragione di dubitare del nome del fiume da loro utilizzato: il
dubbio si pone, semmai, fra Dora Baltea e Dora Morta. La prima, più
indiziata, può essere stata coinvolta in vari modi per il lavaggio dei
depositi auriferi alluvionali interni ed esterni all’anfiteatro morenico
d’Ivrea, tutti plausibili e applicabili, più o meno contemporaneamente,
in diversi specifici contesti. Le acque del fiume possono essere state
utilizzate direttamente per il lavaggio di giacimenti all’interno dell’anfiteatro,
le cui tracce sono state obliterate dall’intensa urbanizzazione:
probabili resti di aurifodine potrebbero, ad esempio, essere i cumuli di
ciottoli una volta presenti, secondo gli abitanti del posto, sui terrazzi
quotati 240-250 a sud est di Mestrellet, andati poi dispersi a seguito
della costruzione del naviglio e delle strade. Inoltre, il corso
principale della Dora poteva essere deviato, all’interno dell’anfiteatro
per aumentare il livello di questo o quel lago e consentire la fuoriuscita
delle acque necessarie per il lavaggio di terrazzi esterni, privandone, di
conseguenza, ad altri emissari: deviandole, ad esempio, nel Lago di
Viverone, poteva essere prosciugato il ramo di Mazzé, viceversa,
convogliandole in questa direzione si poteva provocare un abbassamento del
lago ed eliminare le fuoriuscite dalla soglia del Sapel da Mur e altre
vicine. Anche la deviazione nel Lago di Candia poteva generare il
prosciugamento del ramo di Mazzé, ma, in questo caso, le acque sarebbero
state restituite all’alveo principale poco a valle della soglia
(attraverso la Valle della Motta). La precisa descrizione di
Strabone:
“…dividendo l’acqua in piu punti per portarla nei canali finivano
per svuotare l’alveo principale”, si attaglia perfettamente ai sistemi
di lavaggio degli strati auriferi superficiali e poco rilevati rispetto al
livello normale del fiume, i quali necessitano dello scavo di canali,
numerosi e più o meno paralleli, che possono provocare inaridimenti del
fiume a valle delle opere di presa. Tali lavorazioni potevano svolgersi,
in situazione ideale, sia all’interno dell’Anfiteatro, sia, e
soprattutto, nella bassa piana della Dora Baltea, a valle di Mazzé, nel
tratto di fiume ancor oggi considerato più ricco, ed è strano che
nessuno degli autori abbia preso in considerazione questa possibilità: è
ovvio che le testimonianze di queste canalizzazioni, sconvolte dalle
successive e periodiche piene, non possono essersi conservate (come non si
sono conservate quelle eseguite in epoca molto più recente, a metà del
Settecento). C'è ancora da considerare il fastidio provocato, a valle,
dalla torbida proveniente dal lavaggio dei terrazzi auriferi. In
California, nella seconda metà dell’Ottocento, le liti fra agricoltori
e minatori erano dovute proprio ai flussi di torbida sabbiosa e limosa
che, oltre ad ostruire canali e piccoli rii, coprivano e danneggiavano i
campi coltivati, tanto da spingere i contadini a costituire l’
Anti-DebrisAssociation e a promuovere azioni legali: nonostante la grande
potenza economica e il peso politico delle compagnie minerarie, nel 1876
una di esse fu condannata a cessare i lavori che danneggiavano le
coltivazioni sottostanti e, dopo numerose altre controversie, nel 1893, fu
emanata una legge, la CaminettiAct (dal nome del deputato
italo-californiano proponente), che istituiva la
CaliforniaDebrisCommission incaricata di applicare misure di contenimento
del fenomeno. Quanto alla Dora Morta, essa poteva essere ancora attiva in
tempi protostorici ed essere utilizzata localmente, prima dell’inaridimento,
facendo poi dei Salassi il capro espiatorio di un fenomeno naturale. Ad
ogni modo i Romani, oltre a confiscare le miniere che si trovavano sul
fronte meridionale dell’Anfiteatro, sottrassero ai Salassi la piana sottostante. I contrasti per la fornitura dell’acqua necessaria per le
aurifodine confiscate non potevano esplicarsi che lungo l’anfiteatro e,
a quell’epoca (140-100 a.C.), risale forse la prima costruzione del “limes”
impropriamente noto come “chiuse longobarde”, una linea di confine
che, a mio parere, ha avuto un’importanza geografica fondamentale, non
rilevata dagli storici del territorio. Infatti, mentre sulla destra della
Dora, dopo di allora, il Canavese e la presenza storica dei Salassi hanno
continuato ad estendersi fino al Po, sulla sinistra essi sono stati
confinati all’interno dell’anfiteatro e la pianura sottostante è
passata a far parte del territorio dei Libici (vercellesi).
NOTA.
Resta, infatti, un importante residuo dello strato aurifero grossolano alla base del terrazzo che si estende da Bornasco alla
confluenza dell' Olobbia nell'Elvo, a metà circa del quale si trova la "Fontana Solforosa". Lo strato, potente da 3 a 5 metri, è composto da grossi ciottoli arrotondati di quarzo, rocce verdi e scisti metamorfici immersi in una matrice composta da ghiaie, sabbie e limo che gli conferisce una discreta
compattezza: poggia su sedimenti sabbioso-argillosi di origine lacustre o su sabbie e
ghiaie di origine alluvionale e su di esso si sviluppa una successione di sabbie e ghiaie fresche, potente
da 5 a oltre 10 metri. Di 20 grossi campioni prelevati da questo strato, nel corso di un’indagine da me
condotta in collaborazione con tecnici della soc. canadese Cominco, 19 hanno dato tenori d’oro variabili da
0,2 a 1 grammo circa per metro cubo, per lo più in polvere e minuscole scagliette, con rari granuli nei
campioni più ricchi, ma in un campione è stata trovata una piccola pepita
spugnosa di 0,82 grammi, lunga circa un centimetro che, da sola, porta il
tenore dello stesso campione ad oltre 32 grammi per metro cubo.
Pepite di maggiori dimensioni farebbero aumentare enormemente i tenori, e la cosa non è improbabile tenuto conto
che lo strato è il risultato il del rimaneggiamento di depositi morenici provenienti dalla
Valle d’Aosta, in partic. dalla
Val d’Ayas, dove sono noti ritrovamenti di notevoli masse d’oro.
(PIPINO 1998, 2012). |
|
Se
vuoi, vedi prima pag. sulla Bessa in generale |
| |
Approfondimenti di questa pagina
|
|