Nel territorio denominato
Bessa, la
grandiosità della miniera d'Oro dell'Agro Vercellese
é tale per cui,ad un certo punto, dopo l'occupazione romana,interviene
una legge censorea che vieta agli appaltatori di tali "aurofodinae"
(termine [ae] che a quei tempi riguardava miniere d'Oro d'ogni sorta,
sia in galleria sia all'aperto, giac. primari, secondari e da non
confondersi con le aurifodine [e] che definiamo noi oggigiorno,
vedi più in basso) l'impiego di una massa di lavoratori superiore alle 5000
unità. A tal proposito, Plinio il Vecchio (23-79 d.c.)
ci dice infatti
che esisteva una legge censorea della Miniera d'Oro di Ittimuli con la
quale si proibiva ai Pubblicani di avere più di 5000 uomini al lavoro.
L'antico autore prosegue poi con la descrizione dei vari metodi
impiegati per l'estrazione dell'oro. Il primo di essi si riduce alla
semplice separazione dalle sabbie dei fiumi, approfittando della maggiore
densità del metallo prezioso, ed è stato qui tralasciato. Il secondo metodo descrive lo
sfruttamento dei giacimenti Primari con pozzi e gallerie. Il terzo, che
descrive lo sfruttamento dei giacimenti in morena (attenzione, non in
roccia viva), é il più dettagliato, di fondamentale importanza storica
e ne riporto qui seguire buona parte dei contenuti perché riguarda le
famose aurifodine, alle quali nel Sito ho dedicato una
sezione.
SECONDO
METODO (Le Arrugie).
"La terza
fatica vincerebbe le opere dei giganti. I monti vengono scavati al lume
delle lucerne con cunicoli spinti per grande lunghezza. Egual durata
hanno la veglia ed il riposo e per molti mesi non si vede il giorno.
Queste escavazioni si chiamano Arrugie e le crepe della terra rovinano
improvvisamente e schiacciano gli operai: così che non pare neppure
temerario cercare le perle in fondo al mare tento abbiano fatta più
pericolosa la terra. Vengono lasciati
quindi, per sostenere i monti, frequenti archi. Si trovano massi di
Silice che vengono demoliti con il fuoco e con l'aceto. Però, dato che
molto spesso nei cunicoli il vapore ed il fumo soffocano gli uomini, li
rompono con mazze da 150 libbre e li portano sulle spalle di giorno e di
notte passandoseli fra le tenebre l'uno all'altro, e solo gli
ultimissimi portatori vedono la luce. Quando il blocco di silice é
molto lungo, lo scavo lo segue di lato e lo raggira. Tuttavia si stima
più facile il lavoro nella silicie: infatti vi é una terra di un certo
genere di argilla mista con ghiaia (la chiamano candida) pressoché
inespugnabile. Essa viene aggredita con cunei e con quelle stesse mazze
e nulla si crede più duro, se non fra tutte la cosa più dura é la
fame dell'oro. Finita l'opera tagliano le imposte
degli archi a cominciare dall'ultimo. Il franamento dà il suo segno, ma
esso viene percepito soltanto da colui che sta di guardia in cima al
monte. questi, con la voce e con segnali, comanda di chiamare gli operai
e nello stesso tempo si precipita a valle. Il monte spaccato cade da
solo da lontano con un fragore che umana mente non può concepire e con
una ventata incredibile. Gli operai,vincitori,ammirano la rovina della
natura. E nondimeno non c'é ancora Oro e non sapevano che ce ne fosse
quando scavavano. Fu sufficiente motivo per tanti pericoli e spese
sperare ciò che desideravano."
TERZO
METODO (Le Aurifodine). "Un altra fatica pari e forse di maggior spesa é
il condurre i fiumi per lavare quella rovina della natura, dai gioghi dei
monti e all'occorrenza molto spesso da cento migli di distanza. Si
chiamano corrughi da "corrugare" (canalizzare):
certamente questo é un lavoro impegnativo. Bisogna valutare il peso
della caduta dell'acqua che sia capace di strappare ciò in cui scorre e
perciò si deriva da altissimi luoghi. Le valli si congiungono con
canali (.....). "In
testa ai luoghi da cui l'acqua sarà precipitata si scavano bacini di
duecento piedi per lato e di dieci piedi d'altezza. Lasciano nei bacini 5 bocche di circa 3 piedi quadri e
riempito lo stagno,tolte le chiusure, erompe un torrente con tale
violenza da trascinare i sassi".
I
bacini, in pratica, che potevano essere riempiti di notte o durante fasi
di stasi delle lavorazioni, avevano lo scopo di garantire l’erogazione
ed erano muniti di paratie, mediante le quali l’acqua veniva fornita
con flusso regolare, oppure a ondate violente secondo l'occorrenza, ai
canali di lavaggio: con questo sistema in questi ultimi si fermava
necessariamente dapprima solo l'oro più consistente, cioè le
scagliette più grosse, mentre il "fine" scorreva più a valle
depositandosi infine insieme al resto della minutaglia altrimenti
sterile.
Anche i sassi rotolavano a valle
seguendo il medesimo principio di cui sopra e si
fermavano solo dopo centinaia di metri, prima quelli
di dimensioni maggiori, poi quelli più piccoli, mentre il materiale
ancora più fine
arrivava fino a 3 chilometri di distanza e qui era convogliato in
appositi fossatelli sul cui fondo venivano depositati fasci di Ulice, un
arbusto simile al Rosmarino, forse Erica. I rametti, che trattenevano le
scagliette d'Oro, venivano periodicamente essiccati e poi bruciati per recuperare
infine il metallo dalla cenere. nell'immagine a seguire, la principale zona
interessata é quella nel cerchietto.