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Sezione
Aurifodine italiane (vedine se vuoi la prima
pag.) e conseguenti cumuli di ciottoli,
ancora visibili oggi a testimonianza
di questi antichi sfruttamenti. |
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Plinio il
Vecchio, che visse
dal 23 al 79 d.C. studiò e si occupò con grande interesse alla situazione
mineraria d'ogni dove (situazione storica permettendo, ovviamente), in
primis fra tutti forse l'estrazione dell'oro. Tra le tante altre cose
che Plinio ci ha tramandato ci sono pure precise spiegazioni dei metodi
di sfruttamento allora in uso (le aurifodine) sia in Spagna sia altrove per la raccolta
del nobile metallo e che tra l'altro verranno poi parzialmente utilizzati
anche durante il
periodo della a noi più vicina e famosa "Corsa all'Oro", con
alcune modifiche concesse dalle attrezzature più efficienti nel
frattempo realizzate. Si
tratta dunque di tecniche assai datate, sperimentate in differenti epoche: fondamentalmente
due metodi, talvolta correlati tra loro, (uno dei quali menzionato anche
nella pagina
dedicata a proposito della sua possibile applicazione a livello
amatoriale), di cui è bene riportare qui per esteso la testimonianza storica
della veridicità del contesto.
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Il
funzionamento del primo sistema era sostanzialmente (o per lo meno
concettualmente) semplice, anche se implicava ingente mano d'opera: in pratica si
trattava di far irrompere grosse quantità d'acqua in
trincee preventivamente scavate in terreni (terrazzi) auriferi affinché la
veemenza della corrente asportasse tutto "il leggero" che via
via incontrava lasciando però in sede l'oro che, essendo pesante,
disdegnava appunto a spostarsi. Da questo, come è facile intuire, si
otteneva infine che sulla pavimentazione delle trincee di cui sopra si formassero
concentrazioni aurifere costituite da pepite più o meno grosse (a
discapito però dell'oro "fino", perché esso con tale
corrente proseguiva oltre) e questo è l'argomento maggiormente trattato
e descritto nei particolari in questa sezione
del Sito rivolta alle aurifodine, a
partire dalla sua prima pagina: è un metodo
in uso ancora adesso in alcuni anditi del globo, soprattutto nei paesi
sudamericani (come d'altronde assai ben descritto nell'avvincente
racconto inviatomi da Licia) e, anche se a seconda della nazione interessata o del tipo
di materiale da trattare (profondità, vastità ecc.) può presentarsi
con diversi nomi o rifiniture tecniche personalizzate, conserva sempre comunque i principi di funzionamento
sopradetti.
Il secondo
sistema interessava sempre il contesto sopradescritto, ma in questo caso
scavando, nel conglomerato, addirittura lunghe gallerie
(immaginiamoci i pericoli annessi ...) con determinati accorgimenti che
ne avrebbero poi facilitato il crollo al momento designato, perché le
medesime venivano infatti in poi fatte franare, al momento designato,
immettendovi a forza la stessa corrente di cui sopra; in questo modo le
gallerie si trasformavano automaticamente anch'esse in canali di
lavaggio e l'illustre autore romano chiamava detto
sistema ruina montium, mentre durante l'epopea della corsa
all'oro di cui sopra, il termine corrispondente americano consisteva in alluvial digging, placer mining
(ed altri)c.
Per
la realizzazione di entrambi i metodi, l'acqua veniva dapprima raccolta in grandi
bacini posti più a monte della zona da trattare e poi liberata
tutta insieme per farla arrivare impetuosamente come sopra descritto: in
"Bessa Oro Salassi", qui a lato, ci sono altri dettagli al
merito. |
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Il paesaggio surreale del Médulas non è un quadro naif, ma
ciò che resta della più importante miniera d'oro lavorata dai Romani col
famoso metodo "Ruina Montium": rilievi fatte
"esplodere" col solo ausilio dell'acqua. |
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A proposito dell'Italia,
anche per estrapolare l'oro della Bessa,
imponente giacimento aurifero di tipologia secondaria localizzabile a
grandi linee tra Ivrea ed il biellese, nell'antichità venne praticato
lo scavo di gallerie nel suo materiale detritico con successivo loro
scoperchiamento tramite il ruina montium , ma naturalmente in
misura meno imponente di come agirono in Spagna; sempre i Romani, nella
Bessa applicarono invece ampiamente il primo sistema (quello dei canali) e
ne sono rimaste consistenti tracce che forniscono
diverse informazioni utili agli studiosi attuali sull'oro. In questa immensa
morena, il cui margine occidentale è ben riconoscibile da Ivrea (la
Serra), presenziano infatti numerosi veri e propri canali, paralleli tra
di loro e poco distanti l'un l'altro: questi, in genere larghi uno o due
metri, furono scavati a diverse profondità e servivano a
far decorrere l'acqua che poco più a monte aveva interessato (lavato)
gli altri già menzionati fossati di ben maggiori dimensioni. In pratica nei canali maggiori
rimaneva la maggior parte dell'oro, mentre i minori venivano realizzati
subito a valle di questi, all'interno del materiale stesso che
fuoriusciva. Anche in questi ultimi arrivava e rimaneva comunque un
pochino d'oro, precisamente quello più fine come da prassi, tant'é che
ancor oggi (armandosi di tanta buona volontà) é possibile verificarlo
di persona sia lì sia nei detriti di "sterile" creatisi
necessariamente ancora più a valle (ma questi ultimi non più
facilmente visibili oggigiorno per vari motivi (crescita della
vegetazione, loro parziale asportazione per motivi edilizi ecc.)
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NOTA BENE.
Per altre informazioni su questo argomento puoi vedere la sezione sull'Oro
della Bessa. Molto interessante anche il racconto
inviatomi da Licia. |
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Approfondimenti di questa pagina
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