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Aurifodine e dei loro conseguenti cumuli di ciottoli
ancora visibili oggigiorno, i quali ultimi sono a testimonianza di
questi antichi sfruttamenti che si risolvevano scavando canali in
terreni ritenuti auriferi, facendosi aiutare da forte
corrente d'acqua proveniente da bacini posti molto più a
monte. Sempre tramite l'acqua si lavava poi nei canali stessi e da ciò si otteneva, in grande stile, ma sostanzialmente con lo
stesso principio delle canalette odierne, l'oro che vi si depositava, mentre lo sterile scorreva
oltre. |
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ma non è affatto vero, come
sostengono molti autori, che Plinio
abbia citato l’uso di canalette di legno inserite direttamente nei
canali di lavaggio. Egli, piuttosto, parla più genericamente di uso di
tavole laterali in alcuni punti dei canali destinati a convogliare
lontano la terra lavata. D'altra parte, anche la |
storia recente e l’esperienza insegnano che non solo non sussiste alcuna necessità di inserire
strumenti in questi canali del primo lavaggio scavati nel sedimento, ma che
essi sarebbero difficilmente stabili, oltre a poter creare vari fastidi e
problemi tecnici. |
Pagina
che ho
realizzato con le preziose informazioni fornitemi dal
dot.
Giuseppe Pipino. |
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Per
trattenere l’oro,
infatti, basta e avanza
uno strato di ciottoli grossi lasciato sulla pavimentazione, mentre quello più fine
poteva a quei tempi essere trattenuto, anche se solo in parte, con altri accorgimenti inseriti a valle, come la mitica pelle
di montone (vello d’oro), oppure gli arbusti descritti da Plinio
che avevano sostanzialmente lo stesso scopo dei moderni
tappeti in plastica in uso oggigiorno. Il lavaggio avveniva nei canali scavati
(il materiale da trattare vi veniva versato abbattendo direttamente le
sponde dei medesimi), e in successioni parallele: nello strato aurifero quando
questo era superficiale o ricoperto da un sottile strato terroso,
altrimenti alla
base del terrazzo quando lo strato aurifero era più profondo e la
successione esposta per alcuni metri d’altezza sul fronte dello stesso
terrazzo. In questo secondo caso, più frequente, come già detto tutta la sponda veniva
gradualmente abbattuta facendo cadere il materiale nel canale: i sassi
grossi (dello strato aurifero) che rallentavano lo scorrimento, venivano
man mano eliminati dal canale e ammucchiati a retro, mentre la parte
più fina e leggera (ghiaia, sabbia ecc.) era convogliata nella
sottostante vallata. L’oro più grossolano restava intrappolato dallo
strato sassoso nel fondo del canale e veniva recuperato alla fine del
ciclo di lavaggio (dopo aver interrotto il flusso d'acqua); era comunque
inevitabile che una parte di quello più fino venisse trascinato via dalla torbida.
Alla
fine di ogni ciclo di lavaggio, dopo che dal canale prosciugato veniva recuperato
il concentrato aurifero (questo lo si rifiniva accuratamente a parte), il canale veniva
costantemente riattivato e avvicinato alla sponda, man mano che il
lavaggio procedeva e il fronte del terrazzo retrocedeva, fino al suo completo esaurimento.
Come
ampiamente osservato in tempi recenti, con questo metodo di lavaggio
continuo, definito ground sluicing, un uomo può abbattere e versare nel
canale da 5 a 10 metri cubi di sedimento al giorno, e anche più a
seconda della consistenza. La necessità d’acqua varia da 2 a 10 volte
il materiale da lavare, cioè da 10 a 100 metri cubi al giorno per
operaio, e la sua velocità deve essere almeno di 2-3 metri al secondo.
Ma, poiché in un cantiere buona parte degli operai è addetta a
funzioni complementari e accessorie, e tenuto conto di inevitabili
interruzioni e rallentamento del lavoro, il rendimento pro-capite, per
quanto riguarda il materiale scavato e lavato, si riduce in media a 2
metri cubi x uomo x giorno: questo vuol dire, ed è attestato in
letteratura, che una squadra di 100 uomini può lavorare completamente
un ettaro di deposito alluv. spesso 3 metri nel giro di 150 giorni (ovviamente
avendo a disposizione l'acqua che occorre).
La necessità di captare, deviare e accumulare grandi
quantitativi d’acqua, nonché le inevitabili conseguenze causate dalla
torbida scaricata a valle, giustificano l’abbandono di questa tecnica nel
Medio Evo: la sua applicazione, infatti, era possibile soltanto grazie
all’organizzazione "tecnico-militare" dei Romani e, soprattutto, al
loro potere e alla loro autorità, oltre alla scarsa densità di
popolazione e di coltivazioni agricole nelle zone minerarie. In Europa
il procedimento non potrà più essere applicato, nel Medio Evo e in
tempi successivi, se non in misura molto ridotta e soltanto in alcune
aree poco abitate e ricche di acque, ma non è affatto vero, come si
legge spesso, che esso non è descritto nella fondamentale opera
cinquecentesca di AGRICOLA (1556), il quale, invece, lo illustra
perfettamente, anche se utilizzato in piccola scala in area tedesca e applicato alla
coltivazione di alluvioni a cassiterite, cioè "pietre nere da cui si ricava
il piombo bianco" (stagno) .
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1980: il
geologo, studioso dell'oro, Giuseppe
Pipino, qui con apparecchiature da lui
ideate e utilizzate per le ricerche aurifere. Sul carrello piccolo, con
ruote e trasportabile a rimorchio, è montata una canaletta vibrante con
pompa, vaglio rotante e un separatore magnetico a nastro, tutti
alimentabili con mot. a scoppio. |
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CUMULI DI CIOTTOLI E
DISCARICHE SABBIOSE |
(cioè quel
che ci è rimasto degli antichi lavori). |
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I residui
più evidenti del lavaggio di depositi
auriferi terrazzati (le aurifodine), cioè di tutto quanto
sopradescritto, sono i cumuli di ciottoli, rimasti ancor oggi sul posto, e le
susseguenti discariche di sedimenti più fini (ghiaia, sabbia, limo)
arrivati e depositatisi subito più più a valle dei precedenti.
Nonostante la
plurisecolare opera di livellamento, sia stata essa naturale nello
scorrere del tempo, oppure per opera dell'uomo (ad es. prelievi o
spostamento di materiale per motivi edilizi), i cumuli di
ciottoli sono, in molti casi, ancora ben conservati ed evidenti in più
località; nella maggior parte dei posti oggigiorno vengono genericamente indicati come pietraie o macerie; in Lombardia e nel Canton Ticino venivano
però chiamati
garaverio, caraveio e simili, mentre in Spagna e Portogallo sono chiamati
murias ecc.
Generalmente si sviluppano, ordinati e paralleli, con
lunghezze e altezze variabili, separati da canaloni più o meno riempiti
da ciottoli rotolati in basso nel corso dei secoli. La loro base, per
quanto riguarda quelli osservati in particolare nell’Ovadese e nella Bessa
(quest'ultima si trova territorialmente ai piedi di quella che noi oggi
chiamiamo Serra d'Ivrea), è talora curata con particolare attenzione, tanto da
assomigliare a vere e proprie murature a secco, e questo evidentemente
per consentire un miglior sviluppo in altezza: tale
caratteristica mi fa sempre pensare (Pipino, 2006) alla collina del Testaccio, a Roma,
sebbene in quel caso ad essere ordinati siano cocci di orci e anfore. Le
lunghezze osservate, dei singoli cumuli, variano da 20 a 100 metri
circa, l’altezza da un paio di metri a più di 10.
La superficie totale coperta da cumuli può
estendersi da meno di mezzo chilometro quadrato ai 5 della Bessa e ai
probabili 10 della valle Gorzente - Piota.
I
ciottoli costituenti i cumuli hanno forma irregolare, per lo più
poco appiattita, ma sempre con bordi e spigoli ben arrotondati. Le
dimensioni variano dai 10 centimetri al metro, con prevalenza della
frazione 10-50 cm, sono piuttosto omogenee nello stesso cumulo e
diminuiscono procedendo da monte a valle. Localmente però, in zone
periferiche o alla base di qualche cumulo, si trovano massi isolati di
maggiori dimensioni, con lati di alcuni metri. Questi, come dimostra
anche l’osservazione diretta in strati auriferi grossolani ancora in
posto, alla Bessa e nella Valle del Ticino, sono da
considerarsi " trovanti" emersi nel corso dello smantellamento del terrazzo
aurifero, non di massi erratici già affioranti, per cui è evidente che
eventuali incisioni rupestri, sulla loro superficie, non possono essere
precedenti all’epoca dei lavori minerari, come invece ipotizzato per
la Bessa.
Massi e ciottoli sono sempre molto puliti e non si
nota, neanche in profondità, la presenza di sabbie e ghiaie derivanti
dal loro dilavamento a opera degli agenti atmosferici, per cui è
evidente che erano già puliti quando sono stati accatastati.
Generalmente sono anche abbastanza freschi, se non per una leggera
patina di alterazione nei clasti metamorfici più superficiali, dovuta,
in genere, per l' ossidazione dei solfuri contenuti. Diffuse sono anche, nei
clasti superficiali, macchie colorate da colonie di licheni e locali
coperture di muschio.
La composizione rispecchia la litologia dei bacini
montani di alimentazione, ma, rispetto a questa, mancano o scarseggiano
le rocce sedimentarie e quelle intrusive e
metamorfiche più
alterabili, mentre abbondano litotipi molto resistenti che pure sono
rari nei monti di origine. Tra questi è degno di nota il quarzo
proveniente da sporadici e poco estesi filoni idrotermali: il più delle
volte questi sono auriferi, per cui, come
riconosciuto da sempre e salvo casi particolari, nei depositi secondari
è chiara la correlazione fra ricchezza aurifera e abbondanza di quarzo.
Le caratteristiche citate
depongono quindi, per tutti i
cumuli osservati, a favore di prolungati trasporti e di selezione
naturale dei ciottoli, anteriori ai lavaggi minerari, con conseguente ulteriore
selezione ad opera di questi ultimi.
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Anche le
discariche di materiali più fini (ghiaie, sabbie, limo), scaricati a
valle dei cumuli, sono localmente ancora molto estese, nonostante
dilavamenti e trasporti successivi a opera delle acque superficiali, ma
sono generalmente poco apprezzabili e riconoscibili a causa
dell’intensa vegetazione che le interessa, anche se la loro abbondanza
ha comunque in molti casi deviato o occluso il letto dei fiumi: il corso
inferiore del torrente Piota, nell’Ovadese, è stato visibilmente
spinto contro le colline che lo delimitano ad est, mentre a valle di
Mazzè la Dora Baltea è costretta ad un ampia curva, e così pure il
Ticino, a valle di Varallo Pombia. Il sedimento di discarica si
presenta, in genere, sotto forma di conoidi alluvionali imbricati e
sovrapposti, con stratificazione poco evidente o assente e composizione
molto varia. Generalmente è composto dal 50% e più di sabbia e limo,
per il resto da ghiaie a granulometria varia e rari ciottoli. Abbondante
è anche il contenuto vegetale, rappresentato da frammenti più o meno
voluminosi di tronchi, rami e radici di alberi e, soprattutto, filamenti
radicali. L’oro è generalmente presente e ben distribuito, ma sempre
in sottili scagliette e in tenori che raramente superano 0,2 grammi per
metro cubo: il rimaneggiamento e l’arricchimento ad opera dei corsi
d’acqua, nelle zone periferiche e nelle sabbie fluviali immediatamente
a valle, possono far raggiungere, localmente, tenori di qualche grammo
d’oro per metro cubo.
Per tornare a prima
pag. storia oro Ovadese ecc. |
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