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La traduzione di questo testo è opera di
una
laureanda, la quale mi ha gentilmente permesso d'inserire nel Sito
il presente
suo lavoro di studio che fa parte di un analisi per una tesi di laurea
specialistica in mediazione linguistica per le imprese, la comunicazione
internazionale e il turismo. |
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Lupi
solitari alla ricerca dell'oro
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Jorge Gesell, uno
degli ultimi cinque pionieri che estraggono il metallo prezioso nella
Terra del Fuoco cilena |
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Un
fuoristrada scassato fa capolino da dietro una curva di una strada bianca
nei dintorni di Porvenir, un centro di cinquemila abitanti nella parte
cilena della Terra del Fuoco. Rimbalza violentemente sopra le buche, e
quando mi raggiunge, frena bruscamente alzando un polverone. Prima che la
polvere sparisca, la testa di uomo con la barba grigia e i capelli
spettinati dello stesso colore, si affaccia dal finestrino e mi chiede:
“Ha visto un puledro color burro?”. Un po’ stranito rispondo negativamente.
A quel punto, la testa di un bimbo di otto anni appare sotto a quella
dell’uomo per aggiungere: “E’ color burro come il foraggio secco!
Mi è scappato!”. |
“E
voi sapete se questa è la strada che va alla miniera di Jorge Gesell?” |
“Beh, mi dispiace ma non ho visto nessun puledro di nessun colore.” |
E già che ci sono, ne approfitto per chiedere: |
L’uomo risponde: |
“Si,
vengo da lì, sono Jorge. Mi cercava?” |
Rispondo
di sì. Gli spiego che ho sentito che c’è ancora qualche cercatore
d’oro vecchio stile in quella zona, e che in paese mi avevano parlato di lui. |
“Allora
salga in macchina e ci aiuti a cercare il puledro, che poi andiamo alla baracca e le mostro com’è il mio lavoro. |
Neanche
il tempo di salire che il bimbo esclama: |
“Anch’io
mi chiamo Jorge. Lei come si chiama?” |
“Mi
chiamo Jordi, che vuol dire...Jorge!” |
Mi
spiega che teneva il puledro legato con una corda, ma l’animale, dopo
essersi liberato se n’era andato trotterellando. Ecco quindi
tre Jorge rimbalzare nell’abitacolo di una vecchia macchina, su una
strada polverosa e piena di buche della Terra del Fuoco, alla ricerca di
un puledro color burro. |
Dopo
più di un’ora di vana ricerca, Jorge, il padre, arriva alla conclusione che, se non l’ha rubato nessuno, il puledro
ritornerà non appena si sentirà solo. È ora di tornare al Cordon. Il
Cordon Baquedano, nome che qui indica la catena del
Boqueron, è una
modesta cordigliera con altezze intorno ai seicento metri, situata a
trenta chilometri ad est di Porvenir. Lì si trovano gli ultimi
cercatori d’oro della Terra del Fuoco. Solo cinque uomini, mi dice
Jorge, che, a suo tempo, si stabilirono ognuno per conto suo in
corrispondenza di diversi chorrillos (sorgenti) indispensabili per lavare la terra nella
ricerca del metallo prezioso. |
Per
prima cosa, lasciamo il bimbo a casa di sua madre. Per strada, Jorge mi
spiega che è separato da diversi anni. Sua moglie lo ha lasciato per
un’altro, ma è arrivato alla conclusione che sta meglio da solo. Si
dedica a quest’attività da quando aveva vent'anni, e adesso ne ha
quarantotto. La maggior parte dell’anno vive nella sua baracca, anche
se l’inverno lo costringe spesso a passare la notte in una casetta che
ha a Porvenir. |
Dopo
32 km
di luoghi sferzati da un vento indemoniato, arriviamo alla baracca. Ci abbiamo impiegato più di un’ora, perchè una ruota è scoppiata per la
troppa velocità e per le cattive condizioni della strada. |
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Casa, parca casa |
La
baracca è una casupola scavata in un versante del Cordon. Il tetto è
coperto con champa, strati di
terra ed erba che assicurano un efficace isolamento termico.
L’abitazione è costituita da una sala da pranzo con un tavolo e una
stufa a legna che serve da piano cottura, e da una stanza con due letti.
In tutto ha una superficie di circa venti metri quadrati. |
Prendiamo
del tè e del pane per riscaldarci, e subito dopo andiamo al pique, il canale di scavo da dove estrae l’oro. L’acqua del chorrillo
si deposita in un bacino che, una volta pieno, si apre in modo che il
liquido passi con forza per il canale di lavaggio, portando via la terra
e lasciando l’oro, molto più pesante. Jorge mi racconta che,
ultimamente, piove molto poco. Il suo chorrillo porta così poca acqua che ci vuole un giorno
intero prima che il suo bacino si riempia. |
Mi
invita a rimanere nella sua baracca per assistere al procedimento il
giorno seguente. Ovviamente, accetto entusiasta. Si fa già buio e la temperatura
inizia a scendere. Ci stringiamo attorno al calore della stufa a legna,
mentre
parliamo di come ha avuto inizio l’estrazione dell’oro nella
regione. |
Tutto
cominciò nel 1879, quando il tenente dell’Armata Cilena Ramon Serrano
Montaner intraprese un’esplorazione nella Terra del Fuoco su incarico
del Governo per scoprire quali potenziali benefici avrebbe comportato la colonizzazione
della zona. Mentre risaliva il versante nord della Catena del Boqueron, Serrano
Montaner trovò giacimenti auriferi in un fiume che battezzò
“dell’Oro”. Ma, non essendo accompagnato da esperti in materia,
non fu in grado di redigere un rapporto affidabile. L’anno
dopo, un’altra spedizione confermò la sua scoperta. I riscontri,
abbastanza positivi, scatenarono una piccola febbre dell’oro a Punta
Arenas. Inizialmente, arrivarono soltanto una manciata di uomini, ognuno per conto suo.
Ma con il passare del tempo, accorsero impresari con concessioni
in regola e la pretesa di uno sfruttamento molto più organizzato. In
ogni giacimento lavoravano una ventina di uomini, che raccoglievano
circa sessanta grammi d’oro al giorno. |
Alla
fine del XIX secolo, nella Sierra del Boqueron si contavano oltre
trecento cercatori per un totale di cento chilogrammi di oro a stagione. |
Fu
solamente una “mini febbre dell’oro”, tuttavia richiamò anche
alcuni europei in cerca di fortuna. Il più famoso fu Julius Popper, un ingegnere
di miniera romeno che emigrò in Argentina alla fine del 1884, attirato dalla
scoperta dell’oro nei dintorni dello Stretto di Magellano.
All’inizio ne trovò soltanto misere quantità, ma riuscì a
convincere un gruppo di capitalisti a fondare la Compagnia
Anonima
di
Lavatori di Oro del Sud. Più tardi, si spostò nella zona orientale
della Terra del Fuoco, ancora inesplorata, con la speranza di ottenere risultati migliori. Questa
volta la fortuna lo assisté e fu così che diede inizio ad un’attività
in un luogo che chiamò il Paramo a causa della sua desolazione.
Pioniere dell’estrazione meccanica con la “trebbiatrice dell’oro”
e altre macchine di sua invenzione, nei tre anni trascorsi lì, riuscì
ad estrarre intorno ai 602 mila chilogrammi di oro. |
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Refrattaria all'industria |
Agli
inizi del XX secolo, l’arrivo degli statunitensi con esperienza nelle
laverie della California favorì la meccanizzazione dei giacimenti. Malgrado ciò,
la quantità dell’oro presente non fu sufficiente per rendere
redditizia l’attività e, poco a poco gli sfruttamenti sparirono,
lasciando solo singoli cercatori ad estrarre il metallo prezioso
artigianalmente. |
Durante
la cena, Jorge mi spiega che, fino al
1980,
in
zona c’erano 150 pirquineros
(cercatori), con mogli, figli e perfino qualche dipendente. Ma le
comodità del mondo moderno hanno fatto in modo che diminuisse sempre di più la gente disposta a tanto
sacrificio. Oggi ne restano appena cinque. |
“Ma
mi guadagno bene da vivere. Se no, perchè continuerei a restare qui? Beh,
perchè si guadagna abbastanza.” |
Poi
mi spiega che raggiunge una media di 750 lucas
al mese, circa mille euro. Può sembrare poco, ma è quattro volte
di più di quanto guadagnano la maggior parte dei lavoratori della
regione. Una volta, Jorge vendeva l’oro a Porvenir, ma da quando ha
scoperto che lo fregavano sul prezzo va a Punta Arenas, dove conclude
affari migliori. |
L’indomani
è nuvoloso e sembra che stia per piovere da un momento all’altro; sarebbe un bene
per il “chorrillo”. Il bacino è pieno così Jorge apre la saracinesca e l’acqua esce a fiotti,
inondando il canale di lavaggio. Senza perdere tempo, prende un piccone
e aiuta l’acqua a grattare le pareti del pique, mentre
blocchi di terra cadono nel canale e si frantumano grazie all’azione
della corrente. Le pietre più grandi le toglie con una forca e, quando la roggia si svuota, continua con le mani. Se non piove, dovrà aspettare
domani per ripetere il procedimento che, quando piove, ripete fino a tre volte al
giorno. |
Poi
mi mostra la sua challa, il
piatto che tira fuori dal canale di lavaggio per verificare se si è depositata
polvere d’oro sul fondo del pique.
Dopo settimane di lavoro, durante le quali il fondo del canale ha
continuato a riempirsi ininterrottamente, è arrivato il momento di
estrarlo. “Pique lungo,
paga” dice Jorge. Allude al fatto che lavando un pique
sufficientemente grande, è improbabile ottenere scarsi risultati. Lui,
lavora con piques di
3 metri
di larghezza per
280 metri
di lunghezza.
La profondità coincide con la posizione della roccia madre che qui si
trova a quattro metri di profondità. In questo volume di terreno,
c’è approssimativamente un quarto di chilo d’oro. |
Jorge
va alla baracca per cambiarsi i vestiti inzuppati. Nel vederlo mentre
si allontana, piegato contro il vento, penso che, così come l’acqua
si porta via la terra e lascia l’oro nel canale di lavaggio, il vento
di questi luoghi desolati si porta via tutto quello che hanno di superfluo i loro abitanti. In questo modo, nascono caratteri
indipendenti, che scelgono di guadagnarsi da vivere ai confini del
mondo. Senza
dipendere da nessuno. |
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Articolo apparso sulla
rivista monografica spagnola Altair e tradotto in italiano da Licia
nell'ambito di suoi studi universitari. |
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