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Val Divedro,
nel tempo V. Veter, V. Vetria o V. Diveria, dal nome del suo torrente |
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Pagina che ho preparato con testi inviatimi dal dot.
Giuseppe Pipino |
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Filoni auriferi poco noti, se
non del tutto sconosciuti, sono stati oggetto di antiche ricerche e
moderate coltivazioni all’ Alpe
Camona, che si trova sullo spartiacque fra la Valle
di Vedro e Bognanco, un paio di chilometri a nord-est del Pizzo
Piolton, in zona di affioramento di gneiss di Antigorio simili a quelli
di Gondo.
Da notare che
trasversalmente, cioè in linea , ma sul versante opposto della Valle di
Vedro, secondo notizie
raccolte sul posto da Vincenzo de Michele, esisteva una miniera (una
galleria) di
ricerca aurifera, ora non più rintracciabile, posta fra Bugliaga e
Bugliaga dentro: in un vicino canalone furono trovati campioni di
quarzo con
pirite e alcune analisi eseguite dalla compagnia canadese Cominco, su
campioni da me inviati (Pipino), rilevarono contenuti d’oro fino a 5 gr/T.
Nella zona sono inoltre segnalate ricerche minerarie per oro sopra Balmoré
(oggi Balmoreglio) e, secondo JERVIS, (1873), per
rame (calcopirite) e piombo (galena), in località Balmaré,
sopra alla frazione di Iselle (vedi qui sotto, a lato*).
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La
miniera di Camona (vi erano state evidenziate tracce d’oro e d’argento)
distava solo un tiro di schioppo dal confine di Stato, verso la valle Divedro,
e consisteva in un filone largo circa due palmi, lavorato ad es. già nel '600
(per qualche anno) da Francesco Pazio, di Domodossola, ma solo
nei tre mesi estivi in cui era accessibile.
Il
20 gennaio 1670, "…il
permesso per lavorar metalli nella Montagna di Camona contigua alla
Montagna di Gondo", non fu però rilasciato al
Pazio, ma a mons. Giuseppe Visconti e a Giuseppe Ottavio Fortis di Orta,
ai quali Fazio aveva evidentemente ceduto i suoi diritti, e questi la
"fecero lavorare" per alcuni anni. Inoltre, nel 1671 fu rilasciato, a Giorgio
Piretti, un analogo permesso per la località Bavaresca.
Dopo pochi anni la miniera di Camona fu abbandonata da Fortis e soci
e nel 1690 si faceva avanti Matteo Gallo,
abitante in Castellazzo dei Barzi, che chiedeva licenza di fare scavi di
prova in "…certa
miniera di rame, che tiene qualche poco d’oro, nel territorio della
Valle dei Veder, dove si dice Casa Comune, q.le è stata altre volte
lavorata". Nel 1692 Gallo dichiarava che
le sue ricerche avevano sortito scarsi risultati, anche perché certi
"bernesi
luterani" scavavano abusivamente nella
sua miniera. Nello stesso anno 1692, Gaspare Stabbio, dopo che i saggi
avevano dimostrato la presenza di oro nel minerale da lui raccolto in
località "terra
di Paglijno", ottenne in concessione, per
sei anni, la miniera al Monte Camona: nel gennaio dell’anno successivo
chiedeva che la concessione fosse prolungata altri 12 anni in quanto era
possibile lavorarvi solo due mesi all’anno.
Nel contempo, anche il Gonone otteneva
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*)
Nei pressi di Iselle, sulla sponda del torrente Diveria, nel 1991 sono
state condotte osservazioni archeologiche su alcuni presunti canali
messi allo scoperto da una piena del torrente, ritenendo che si
trattasse di strutture "del tutto analoghe" a quelle presenti nelle
aurifodine della Bessa e risalenti al III-I sec. a.C. (F.M. Gambari in
"Summo Plano", Comune di Verbania s.d., ma 2002). I reperti sono
fatti di pietre giustapposte a secco, ma in questo caso si tratta di materiale
squadrato e spigoloso, ben lontano dai ciottoli arrotondati che
caratterizzano le aree ad aurifodine che, peraltro, si collocano in ben
differenti contesti geo - morfologici (PIPINO 2015). Inoltre, le strutture
sono, a vista, molto più recenti di quanto riferito e sembrano
piuttosto resti di un vecchio argine che è stato danneggiato da piene. D’altra
parte, l’Autore suddetto è noto per le sue "cantonate",
e non soltanto riguardo alle aurifodine (Pipino, 2012). |
una licenza di ricerca per il Monte Camona, come se ne
interessavano anche Pietro Pala e Gio Batta Jacchini, nell’ambito di
una generica concessione per ricerca di miniere d’oro nella
Giurisdizione di Domo d’Ossola, ottenuta il 2 maggio 1680 dal governo
milanese: più specificamente, il 20 marzo 1696 chiedevano, assieme a
Bartolomeo fratello di Jacchini, licenza di 6 mesi per provare la
miniera d’oro nella montagna di Camona, stata abbandonata da Fortis e
compagni, ottenendola però per soli 4 mesi.
Ai primi del Settecento la
"vena
d’oro" del Monte Camona veniva
coltivata da un tal Porta di Ornavasso, il quale, secondo un rapporto di
qualche decennio dopo, ne avrebbe ricavato 300 scudi d’oro. Pare se ne
interessasse anche il notaio Gorini di Vanzone, al quale si deve una
prima segnalazione, nel 1725, di sue ricerche in Val Bognanco e in Valle
Antrona.
Nel 1728 Cristoforo Creda di
Macugnaga chiese di poter
cercare nel territorio di Trasquera, in zona confinante con i "vallesani
di Gondo" e, in effetti, iniziava i
lavori con alcuni soci. Secondo il rapporto inviato il 15 gennaio 1748
da G.B. Bettoni al governo sabaudo, subito dopo il passaggio dell’Ossola
al Regno di Sardegna, nuovi lavori erano iniziati nella primavera
precedente per conto del Principe Melzi, il quale aveva fatto costruire
un edificio con cinque mulini in località Piovino,
a 4 ore dalla miniera: questa "...è
in sito, dove si dice Camona, monte molto selvatico confinante delli
Vallesani, e non si puole lavorare che cinque mesi all’anno ... e per
andarvi bisogna sempre salire ... è poco distante dal Sempione".
Nel dicembre del 1751 Nicolis di
Robilant, di ritorno dal viaggio in Germania, non poté visitarla, data la stagione, ma, secondo la sua
relazione, "...dicesi
quel filo essere di buona qualità, che sij travagliato per oro diversi
anni successivi dal Principe Melsi", e nel suo
"Saggio", pubblicato più di trent’anni dopo (1786), segnala
anche la presenza di miniere d’oro nella Valle di Vedro e ne ubica tre
nella carta allegata: una approssimativamente nella zona dell’Alpe
Camona, una sulla destra orografica del torrente Diveira di fronte a
Varzo, una nei monti a nord-nord-ovest del paese corrispondente,
probabilmente, con la mineralizzazione di Bugliaga, sopra Balmoreglio.
La carta è poi riprodotta da AMORETTI nel 1801, a partire dalla seconda
edizione dei "Viaggi", ma nel testo non si fa cenno alle
mineralizzazioni indicate.
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Nel 1798 la miniera tornò alla famiglia Stockalper,
la quale affidò nuovi lavori a Bartolomeo Pirazzi Maffiola, di
Piedimulera. Egli la coltivò (come concessionario o come affittuario, a
seconda dei tempi) per 56 anni con buon successo: vi eresse un mulino
per l'oro e la casa d'abitazione. Anche se agli inizi Bartolomeo dovette
affrontare non poche difficoltà e relativi sacrifici, poi "...
proseguì i lavori con sì gran successo che i figli suoi con pallette
d'oro giocavano" (nota di Malladra, 1893). |
Nota:
per info storiche antiche sulla V. d'Ossola in generale, c'è quest'altra
pag. |
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