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È possibile,
per quanto si dirà in seguito, che le mineralizzazioni di Ponte San
Pietro siano state oggetto di attività preistoriche, per ferro, rame,
argento e, forse, anche oro. Il filone affiorante nell’alveo del fiume
Fiora non poteva certo passare inosservato e l’insediamento dell’età
del bronzo, proprio sul terrazzino soprastante, non può essere casuale.
Neanche le visibilissime alterazioni ferrose superficiali, lungo le
altre faglie mineralizzate, potevano passare inosservate ed è invece
probabile che, in qualche caso, abbiano costituito piccole fonti di
minerale ferroso: il toponimo Ferreto,
in corrispondenza delle faglie mineralizzate
indicate in carta col n.
5, è molto indicativo, anche se va riferito ad
epoca medievale o moderna. Lo stesso discorso vale, mutato il metallo d’interesse,
per i toponimi Argentiera
e Fosso Argentiera
che abbiamo visti e che si collocano nello
stesso contesto geo-minerario, pochi chilometri a sud del precedente: in
questo caso, la mineralizzazione non poteva essere molto dissimile da
quella vicina, di Ponte San Pietro, e di altre
segnalate in zone più o meno distanti (Scerpena, Batignano, Massa
Marittima), le quali hanno dato luogo ad attività minerarie certe, per
rame e argento.
A
epoca antica si debbono, con ogni probabilità, i lavori che hanno
sconvolto i filoni affioranti nei pressi di C.
Diaccialone: significativa è la presenza del
vicino Castellaccio del Pelagone,
identificabile col Castello di Scarceta
che secondo un atto del 1212 apparteneva agli
Aldobrandeschi e che, sebbene non citato espressamente dagli autori (FRANCOVICH
e FARINELLI 1999), oltre ad avere funzioni confinarie faceva sicuramente
parte dei castelli posti a tutela degli interessi minerari della
famiglia.
Il
toponimo Ponte San Pietro ci ricorda che siamo nella zona di confine con
il Patrimonio della Chiesa (o di San Pietro), ed eventuali testimonianze
di antiche coltivazioni, a sud del ponte, vanno cercate nelle carte
pontificie. La zona potrebbe essere compresa in una delle generiche
concessioni del Quattrocento e, più ancora, nella concessione perpetua
del 15 aprile 1510, ottenuta da Ottaviano de Castro per oro, argento e
altri metalli, con obbligo di denunciare le miniere scoperte prima di
metterle in opera: già il 28 giugno successivo, il concessionario
notificava quattro miniere, tra le quali una di rame, con oro e argento,
nel territorio del Patrimonio, lavorata in precedenza, ma da tempo
abbandonata (BARBIERI 1940).
Riguardo
all’oro, occorre tener conto della reale possibilità che possano
essersi formati arricchimenti superficiali degni di interesse che,
ovviamente, sarebbero stati esauriti in breve tempo. A tal proposito,
occorre far presente che la convinzione espressa da archeologi, seconda
la quale i contenuti d’oro nei depositi toscani sono troppo bassi per
consentire alle tecniche antiche di estrarlo, non tiene conto di questa
concreta possibilità, che vale anche per i depositi a "oro
invisibile" e che, come abbiamo visto, fu verificata proprio nella
località tipo, a Carlin. Vale quindi, per l’oro, quello che si
verifica per il ferro che costituisce, ed ha costituito, limitati
"cappellacci" di ossidi ferrosi e idrossidi, facilmente
lavorabili, sulla superfice di giacimenti di ossidi ferrici o di solfuri
meno utilizzabili nell’antichità (magnetite, pirite, etc.).
Le
esplorazioni della Montecatini, negli anni ’50 del Novecento,
riguardarono tutte le faglie mineralizzate della zona e, nel corso delle
ricerche, "…si trovano le tracce di vecchi lavori di
scavo …in varie località tra la zona di Sottopoggialti ed il Ponte
San Pietro"; inoltre, "..il filone nel Fiora, a sud di Ponte
S. Pietro, a detta di minatori del paese di Manciano, è noto da
parecchie decine di anni", mentre "..un
piccolo scavo di ricerca" fu trovato anche lungo
il filone che si sviluppa a nord di questo (n. 2 in carta), in
corrispondenza di "…una lente o filone di baritina con
ossidi di ferro" (VIGHI 1964). Il filone
affiorante nel fiume Fiora (n. 4 in carta) fu oggetto di discreti
lavori, dal 1953 al 1960 (VIGHI 1953-55, 1959). Vi furono scavati, su
entrambe le rive del fiume, pozzetti, trincee, discenderie e limitate
gallerie: una prima cernita del minerale estratto veniva fatta sul
soprastante terrazzo di sponda destra, quotato 85, dove ancora si trova
un’estesa discarica; fu estratto qualche migliaio di tonnellate di
minerale, a tenore medio del 25% di zolfo e 3% di rame, trasportato per
il trattamento alla miniera di Fenice Capanne e mescolato col minerale
di quella miniera e di altre toscane.
Secondo
la relazione finale di Vighi, pur essendo risultata "…la
più cospicua rispetto a tutte le zone esplorate….la formazione
mineralizzata presenta in effetti consistenza piuttosto modesta e tenori
bassi in rame, piombo e zinco" (VIGHI 1959).
Più in particolare, secondo le informazioni poi fornite, dallo stesso,
a DESSAU et AL (1972), la lente "nobile" era stata seguita per
200 metri in direzione, per 60 in profondità, e le sue riserve erano
state stimate in appena 10.000 tonnellate di minerale all’8% di rame e
2% tra piombo e zinco.
Non
furono eseguite analisi per oro e argento, metalli ai quali al tempo non
si dava importanza e per i quali, specie per il primo, si avevano
difficoltà analitiche quantitative.
Mineralizzazioni
analoghe a quella affiorante nel fiume erano denunciate da brucioni e
massi sciolti di ossidi di ferro lungo tutte le altre faglie della zona,
ma in nessuna furono trovate estese mineralizzazioni affioranti, stante
il grande spessore del detrito di copertura. Soltanto in corrispondenza
del fosso parallelo al Gamberaio, lungo la faglia indicata con il n.
3,
fu notata la presenza di "…un filone di quarzo con
tracce di galena, baritina e
pirite": lo scavo
di una trincea evidenziò che era contenuto in "…una
fascia clastica ricementata da barite accompagnata da impregnazioni di
galena, blenda e rara pirite"
(VIGHI 1954). Al di la del Gamberaio, la faglia n. 3 risultò interrotta
da faglie traverse, con direzione NE, denunciate da "…detrito
superficiale ricco di pezzi, ciottoli e frammenti di ossidi di ferro,
spesso con baritina"; lo scavo di una trincea
lungo la faglia orientale mise in vista un "…un filone
quasi Verticale nel Verrucano … alla salbanda NW fortemente alterato e
trasformato in materiale argilloso"; nella zona
superficiale del filone, l’unica indagata, furono trovati "…blocchi
di ossidi di ferro compatti con abbondanti relitti di pirite….un pezzo
di galena pura…patine di cuprite e malachite…una certa quantità di
baritina, che mediamente si valuta oscilli intorno al 10%".
L’analisi di un campione a ossidi di ferro evidenziò elevati
contenuti percentuali di arsenico (0,50), rame (0,37), zinco (0,29) e
piombo (0,20), dovuti a evidenti residui dei solfuri originari. Il
filone sembrava essere presente in più punti della faglia, per circa
900 metri, ma sempre con spessore limitato al metro: la faglia risultava
poi interrotta, a sud-ovest dalla faglia principale, mentre a nord-est
era coperta da una potente coltre di sedimenti quaternari (VIGHI 1954,
1955).
Nella
zona di Sottopoggialti,
all’incrocio del filone principale (n. 3) con altro filone traverso,
parallelo al precedente, lo scavo di una trincea nella coltre di detrito
non raggiunse il filone: le analisi di un campione superficiale a ossidi
di ferro, ricco di silice (51,30%), rivelarono, comunque, elevati
contenuti percentuali di zinco (0,96) e di zolfo (0,10): "…evidentemente
le acque che hanno impregnato di ossidi la zona, provenivano da zone
mineralizzate a solfuri misti"; il
campione, oltre che ricco di ossido di ferro (12,94 %), presentava anche
elevati contenuti di ossido di manganese (3,41%), "…la
cui deposizione è stata certamente favorita dalla abbondanza di quarzo
nel detrito" (VIGHI 1954).
Lungo
la prosecuzione del filone principale (n. 3), nella zona del Diaccialone
furono trovati, nella coltre detritica
superficiale, "…pezzi di quarzo
filoniano….pezzi, anche grossi, di buoni ossidi ferro…frammenti di
retico silicizzato con tracce, spesso abbondanti, di antimonite… di
baritina e antimonite ossidata". Le
analisi di due campioni a ossidi di ferro rivelarono consistenti tracce
di zinco, antimonio, arsenico e piombo, a dimostrazione che si trattava
di alterazione di solfuri e che era possibile la presenza di una zona
mineralizzata nelle filladi sottostanti la coltre detritica (VIGHI
1954).
Nel
filone di Poggi Canaletti
(n. 5) fu evidenziato un potente filone di
baritina, anche cristallizzata, con consistenti tracce di ossidi di
ferro; in quello parallelo più meridionale, in cui è inciso il Rio
Ferreto, una lente di ossidi ferro con una
discreta sorgente ferruginosa.
In
tutti i casi, le ricerche furono abbandonate a seguito degli scarsi
risultati ottenuti dai lavori nel filone affiorante nel fiume Fiora (VIGHI
1956 e 1959).
Dopo
l’abbandono delle ricerche da parte della Montecatini, la discarica
cominciò a essere oggetto di ricerche mineralogiche da parte di
appassionati locali, attratti dalla concreta possibilità di ritrovare
discreti cristallini di quarzo e di solfuri, tanto che il sito fu
inserito, con piantina della zona e foto dei minerali, nel volume "I
minerali del Lazio" (STOPPANI e CURTI
1982): vi furono segnalati, oltre al quarzo e alla pirite, calcopirite,
siderite, tetraedrite. In seguito vi furono trovati anche azzurrite,
blenda, galena arsenopirite, bournonite, pirrotina, antimonite e gesso:
come redattore della Rivista Mineralogica Italiana, avevo seguito con
interesse il susseguirsi dei ritrovamenti e il sito fu uno dei primi ad
essere da me campionato alla ricerca dell’oro, nel 1984, nell’ambito
della collaborazione fra TEKNOGEO e COMINCO. Nonostante l’interessante
tenore d’oro riscontrato, la limitata potenzialità del filone,
peraltro già in gran parte esaurito, sconsigliò ulteriori ricerche: i
dati raccolti furono comunque inseriti nei rapporti delle società e
portati a conoscenza di partners e altri interessati (PIPINO 1984).
Qualche anno dopo il sito fu da me inserito nell’
"Inventario" predisposto per l’AGIP Miniere (PIPINO 1988),
al quale poterono accedere altri consulenti della società. Ne discussi
anche, agli inizi del 1989, con il collega olandese immigrato in Sud
Africa, Henk Gewald, che operava in zona per conto dell’ANGLO AMERICAN
in joint venture con l’AGIP Miniere: il mio intervento in zona era
stato espressamente richiesto per meglio localizzare i depositi ad oro
epitermale che avevo segnalati. Fu il dott. Gewald a indirizzarmi al
Servizio Geologico canadese di Ottawa per lo studio delle sferule d’oro.
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Oro del fiume Fiora a valle del filone di Ponte San
Pietro: grosse e spesse scaglie (max allungamento 6 mm) |
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Nel
1990, per soddisfare alcune richieste e allo scopo di aver maggior
materiale da analizzare, organizzai un’escursione di ricerca con
alcuni esperti cercatori d’oro padani (come da allegata notizia
"giornalistica"): fu così possibile raccogliere ancora un
discreto quantitativo d’oro (circa 2,5 grammi), in piccoli granuli
e grosse scagliette, fino a 6 millimetri, oltre a qualche
diecina di microscopiche sferule. Nel 1994, una foto delle scaglie più
grosse fu pubblicata in una breve relazione generica sull’oro
italiano, con notizie su quello epitermale della Toscana meridionale
(PIPINO 1994). Della mineralizzazione si interessarono poi, due anni
dopo, la società concessionaria della miniera d’oro di Furtei in
Sardegna e ricercatori dell’Università di Roma, ai quali si deve una
successiva pubblicazione accademica (DE CASA et AL, 2003), nella quale
vengono segnalati tenori medi, d’oro, di 6,3 ppm in campioni ricchi di
Cu, Fe, Pb e Zn, di 9,2 ppm nei solfuri separati per flottazione dallo
sterile, di 20 ppm nel concentrato pesante di questi: facendo
riferimento alla prima relazione Vighi (1953), si sostiene, però, che
dal filone furono recuperate 100.000 tonnellate di minerale al 3% di Cu,
2% Zn e 1% Pb. La citazione è ovviamente sbagliata, in quanto andrebbe
riferita a DESSAU et AL (1972), e i dati sono completamente stravolti: a
parte l’errore nei tenori, è stupefacente che, in un lavoro con
pretese scientifiche, una probabile riserva mineraria di 10.000
tonnellate si trasformi in una produzione effettiva di 100.000
tonnellate. D’altra parte, gli Autori dimostrano di avere le idee poco
chiare anche sulle prime ricerche per oro epitermale, in Toscana
meridionale e Lazio, e sulla scoperta delle vene quarzose aurifere a
Ponte San Pietro.
Nel
2005 se ne interessò la società ADROIT Resources che, nell’ambito
delle ricerche per oro e antimonio in Toscana meridionale, chiese anche
il permesso "Ponte San Pietro", nella confinante
regione Lazio. Fu asportata buona parte del filone affiorante, per
essere analizzata: le analisi di 12 campioni, eseguite nei FILAB
Laboratories
presso Digione, confermarono l’irregolare
presenza di oro, con discreti contenuti in soli tre campioni,
rispettivamente 0,5, 1,8 e 2,1 grammi per tonnellata, nelle parti
superficiali del filone, ricche argento, rame e piombo Le ricerche non
ebbero seguito, essendo stata riconosciuta l’assoluta mancanza di
potenzialità economica del filone.
Nel
corso del 2009 la zona fu oggetto di discussione con la prof. Piana
Agostinelli, della cattedra di Protostoria dell’Università la
Sapienza, alla quale facevo notare che gli studi archeologici in zona
avevano completamente ignorato le ricerche minerarie, che vi si
svolgevano contemporanee, e non avevano preso in
considerazione le vistose presenze del filone e della discarica.
Si parlò di un sopralluogo in posto, con il coinvolgendo del prof.
Claudio Giardino, dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ma
poi non se ne fece nulla. Due anni dopo un sopralluogo fu effettuato dal
prof. Giardino e dal dott. Giuseppe Occhini che, con l’assistenza di
un gruppo speleologico locale, poterono esplorare parte di una galleria,
accessibile dalla discenderia ancora aperta sulla ripida scarpata del
terrazzo soprastante il filone: di questa escursione fu messo in rete un
video, col titolo "La miniera di rame di Ischia di Castro", e,
secondo comunicazioni personali del prof. Giardino, sono ancora in corso
analisi per stabilire se gli isotopi del piombo, contenuto nel minerale,
sono compatibili con quelli dei manufatti in rame trovati nella vicina
necropoli eneolitica. |
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Giuspeppe Pipino |
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Torna
a inizio di questo vasto studio. |
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NOTA
DI Z.G. Inoltre, Edoardo
Bellocchi mi ha gentilmente segnalato quanto segue: "Ho visto
che hai menzionato il sito sulla Fiora di Ponte San Pietro, ma non è
l'unico dell'Alto Lazio: anche sul lago di Bolsena ce n'è, sotto al
Monte Landra. Io vado per miniere e mi piace cercare minerali. Ho la
fissa dei radioattivi, ma anche l'oro mi acchiappa. Di oro a Monte
Landra ce n'è. Affiora in due punti, uno lo conosco. Sono pagliuzze
inglobate in una tefrite violacea." In seguito, sempre il sig.
Bellocchi mi ha inviato copioso materiale grazie al quale ho potuto
preparare un'interessante pagina dedicata a questo
argomento.
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