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La Stampa, 15/10/2011

 
     

Sul Monte Rosa torna la febbre dell'oro

Le miniere nel ’700 erano un colosso economico.

Nell’800 il calo fino alla chiusura nel 1961.

 
 

Al via la proposta per riaprire le storiche miniere: "Un impulso per tutto il turismo della zona".

   

                  Articolo di Teresio Valsesia

   

 

MACUGNAGA (VB).
Alla fine del Settecento vi lavoravano oltre mille minatori. Era la più grande industria del Nord Italia. E quando si intercettavano dei filoni particolarmente redditizi, i titolari della concessione ottenuta dal re sardo-piemontese donavano alla chiesa di Macugnaga, il villaggio ai piedi del Monte Rosa, delle grandi tele con massicce cornici d’oro. In quegli anni a rafforzare la manodopera arrivarono anche i valligiani svizzeri del Vallese e quelli del lontano Tirolo, impiantando famiglie dai cognomi tedeschi che esistono ancora. Nell’Ottocento seguirono fasi alterne, scavando sempre più in profondità alla ricerca di nuovi filoni. Incontri fortunati con la roccia e altri da mandare sul lastrico. Come la «miniera dell’acquavite».

Confessava il suo imprenditore: «Non guadagno niente, al massimo qualche centesimo per bere un cicchetto di acquavite». Alla fine del secolo era venuto in visita anche l’abate valdostano Amé Gorret, l’«ours de la montagne». Caustico osservatore, aveva rilevato le miserrime condizioni di vita dei minatori: «Evidentemente Macugnaga deriva il suo nome da “Mac-canaglie”». Era il più importante giacimento aurifero d’Italia (vedi gli altri) e accrebbe il suo primato negli anni Trenta del secolo scorso, al tempo dell’autarchia mussoliniana, quando gli impianti vennero assunti direttamente dallo Stato. Sul frontone di uno stabilimento campeggiava perentoria la scritta: «Con fede e tenacia veramente fascista lavoriamo per la più preziosa delle autarchie: quella dell’oro».

Si traforava la montagna respirando un’enorme quantità di polvere di silice e la silicosi mieteva vittime. Così la frazione di Pestarena divenne un villaggio di vedove. Nel dopoguerra il corso dell’oro era al minimo e l’estrazione venne rallentata. Nel 1961, dopo una tragedia che fece quattro vittime, è arrivata la chiusura. Nei decenni successivi sono spuntati diversi progetti per riattivare l’attività, ma non se ne face mai nulla. «Al tempo dell’estrazione intensiva Pestarena contava mille anime» racconta oggi Marino Bettoni, 82 anni, uno degli ultimi minatori superstiti.

«Arrivava gente da ogni parte d’Italia, soprattutto dalle valli bergamasche e bresciane, e dalla Sardegna. Dormivano in tutti i buchi, persino sotto i sassi. Si scavava nell’intero reticolo sotto il paese. Cunicoli orizzontali e pozzi verticali che li collegavano, fino a 360 metri di profondità. Oggi siamo rimasti solo una trentina di abitanti e fra qualche settimana se ne andrà anche il sole per ritornare solo verso la metà di gennaio. Ben venga la riapertura delle gallerie». Già, perché da alcuni mesi la Società «Miniera di Pestarena», con sede a Roma, sta procedendo ai lavori di sistemazione sia nella «discenderia» che dal paese cala nel cuore della montagna, sia nella galleria che penetra per circa tre chilometri dal «Ribasso Morghen», nella frazione Campioli di Ceppo Morelli.

«Questo cunicolo è stato messo in sicurezza ed è percorso da un vagoncino di servizio sui vecchi binari», dice Walter Bettoni, delegato dell’amministrazione comunale di Macugnaga per Pestarena e per la miniera. La nuova società ha ottenuto la concessione per effettuare tutti gli interventi lungo le due direttrici (Pestarena e Ribasso Morghen). Inoltre si è fatta carico di bonificare l’area di Campioli dalle vecchie scorie, depositate oltre 60 anni fa. «È un intervento concreto sotto la direzione dell’ingegner Trogolo di Torino - aggiunge Walter Bettoni -. Si tratta di verificare le condizioni per un’eventuale ripresa delle estrazioni dell’oro o creare un percorso aperto al pubblico, a scopo turistico. Alcuni geologi dell’università di Torino hanno già effettuato dei sondaggi nelle gallerie laterali».

Secondo René Bruck, l’ultimo direttore della miniera, lì sotto l’oro luccica ancora in abbondanza, anche se non in pepite, ma celato nei filoni delle rocce. Certo, bisognerà stabilire i costi dei nuovi investimenti. «Da parte dell’amministrazione comunale daremo tutta la disponibilità», assicura il sindaco di Macugnaga, Stefano Corsi. La nuova corsa all’oro è appezzata anche dalla gente. «Finalmente ci sono dei lavori concreti, speriamo coronati dal successo. Così potremo vedere qualche avventore in più», dice Selvaggia Colusso che gestisce «Il Cantuccio», ristorantino con negozietto sulla piazza del paese, dove sorgono anche un monumento che ricorda i morti della miniera e una piccola raccolta museale.

Da qualche anno a Pestarena è nata una nuova associazione («I figli della miniera»), con lo scopo di ravvivare le memorie del «paese dell’oro» attraverso manifestazioni, ricerche e pubblicazioni. L’auspicio della presidente Ida Bettoni è che «la rinascita della miniera attraverso degli interventi estrattivi o come circuito turistico, possa servire a risollevare anche il nostro piccolo villaggio».

 

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