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Elaborazioni e
miei estratti autorizzati dei
testi del
dot.
Giuseppe Pipino, con eventuali note aggiunte: per ulteriori
approfondimenti si consiglia
l'Originale. |
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| IL BANCO.
Il banco (o bancone) era utilizzato nelle parti
terminali e pianeggianti di alcuni fiumi lombardi (Ticino, Adda,
Serio, ecc.), dove non ci sono rapide su greto ciottoloso e dove il
sedimento e l’oro sono più fini. E' formato da due o tre ruvide
tavole di legno, lunghe fino a due metri, tenute assieme in modo da
formare un largo canale ed è lo strumento antico fondamentale da cui derivano, con
ingegnosi, graduali e molteplici interventi, le
canalette o scalette
usate oggidì. Queste tavole accostate l'un l'altra, già ruvide per la loro natura stessa, venivano inoltre intagliate
fittamente a colpi d'ascia per creare ostacoli allo scorrimento della
sabbia e "trappole" per il deposito dell'oro. Lo strumento, posizionato
sulla riva come da foto, era tenuto rialzato da terra tramite sostegni in
legno flessibili che consentivano di farlo periodicamente dondolare agendo
con una mano sulle sponde, operazione questa utile a far scivolare in
basso il materiale più grossolano mentre, contemporaneamente, l'oro si
depositava negli intagli. Una persona vi caricava il materiale da lavare
con la pala, un altro vi versava sopra abbondante acqua con un secchio
fissato ad un lungo bastone trasversale detto sucon, nome che
ricorda la zucca cava che si usava ai primordi; il bastone era necessario
per poter raggiungere agevolmente tutti i punti del banco senza ostacolare
l'operazione di caricamento. Durante il lavaggio, la ghiaia e la sabbia
leggera scivolavano velocemente verso il basso, mentre il concentrato
pesante restava intrappolato negli intagli e, come già accennato, di tanto
in tanto si faceva dondolare il banco per agevolare lo scarico dello
sterile; periodicamente occorreva inoltre eliminare il materiale che si
era ammucchiato ai piedi del banco, o meglio ancora spostare lo strumento
in altra posizione, vicino ad una zona ancora da lavare. |
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Alla fine della giornata, o comunque quando si riteneva
che il banco fosse saturo, questo veniva girato e posto verticalmente in
un canaletto di legno lungo e stretto, chiamato conchino, e
aiutandosi con dell'acqua ed una spazzola vi si faceva cadere il
concentrato, il quale subiva già un primo lavaggio di arricchimento nel
conchino stesso agitandolo a pelo dell'acqua con movimenti avanti-indietro
in modo da eliminare le parti più leggere, poi si faceva scivolare il
residuo nel bacile, detto anche trula. |
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LA TRULA.
Se in molte parti d'Italia e all'estero, per lavare il
concentrato aurifero erano in uso
strumenti che, pur variando tra essi di dimensioni o struttura a seconda
dei luoghi avevano comunque le caratteristiche sostanziali della Batea che
usano i cercatori d'oro amatoriali di oggi, sul
Ticino invece (specie nella zona
di Oleggio) si usava assolutamente la trula, e questo fino a non
molti anni fa; l'immagine qui a sinistra (come la seguente è per gentile
concessione del
dot.
G. Pipino) ne riporta un esemplare di cui manca il manico che va
appunto inserito nel rilievo centrale posto a monte della Trula.
Come si può notare, si tratta in sostanza di una grossa paletta in metallo
che, quando munita del suo lungo manico di legno verticale, ricorda
un po' quei raccogli-spazzatura con lunga impugnatura
perpendicolare. La
paletta, lunga dai trenta ai trentacinque centimetri e larga poco meno, ha
sponde più alte rispetto al bacile suo simile (altro attrezzo
oramai in disuso), in genere cinque o sei
centimetri e queste formano, in ciascuno dei due angoli posteriori, una
"orecchietta" o canalino di scolo che a lavoro ultimato
serviranno per versare l'oro in altro contenitore. Al centro del lato riguardato
dalle orecchiette è saldato, esternamente, un supporto di ferro atto ad
inserirvi il manico di cui sopra. Nella foto seguente e che riprende un vecchio
cercatore di Oleggio (Giovanni Valentini), viene mostrato come la si
usava: una volta immessovi il
concentrato da lavare, l'attrezzo veniva immerso a pelo d'acqua, dopodiché si agiva
con movimenti di immersione ed emersione, inclinazione e raddrizzamento,
periodiche scosse,
finché quasi tutti i minerali fuoriuscivano dalla trula e rimaneva solo
l'oro. Queste operazioni venivano eseguite impugnando ovviamente
l'attrezzo per il suo manico e stando in piedi nell'acqua, leggermente
curvati sia per controllare al meglio il processo, sia per il peso dato
dall'insieme: si trattava infatti di un'operazione senz'altro scomoda e
faticosa, anche perché richiedeva un bel po' di tempo. Una volta isolato
del tutto, l'oro veniva infine versato in un recipiente servendosi come
già detto di uno
dei suoi canalini angolari di scolo. |
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Nel
canavese invece, i cercatori d'oro preferivano usare il
Piatto, che a quei tempi era completamente in legno, concavo
all'interno e che finiva a cuneo (cappello cinese) perché non disponeva del classico fondo piano che caratterizza le
nostre batee
attuali. Fu solo con l'avvento della plastica che finalmente diventò
tutto più facilmente sagomabile e realizzabile anche nei minimi
dettagli al fine di poter soddisfare al meglio le esigenze dei
cercatori d'oro attuali. |
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La
trula, qui una descrizione di
Giuseppe Rizzi:
la trula è lo strumento che nell’oleggese
veniva usato non per "produzione", ma solo per fare assaggi sulle
“punte aurifere” scoperte dopo le
"piene" al fine di valutarne i limiti, le concentrazioni e pertanto poter
individuare dove iniziava il “cuore” della punta. L'attrezzo che veniva
poi usato per la produzione era l' "asse" (canaletta
oleggese). La Trula veniva realizzata con una lastra di ferro a
cui venivano ripiegati su tre lati delle spondine: la lamiera ai 2
angoli posteriori sull’incrocio delle spondine veniva modellata a imbuto
rovesciato e, al centro del bordo posteriore veniva
fissato,
perpendicolarmente al piano della trula, un manico che, trattenuto sotto
l’ascella, dava la possibilità di mantenere stabile il piano di lavoro
della trula in fase di lavaggio. Il suo utilizzo: l’acqua viene fatta
entrare a trascinare la sabbia verso il "fondo trula" e poi, con
piccoli e decisi movimenti verticali si scuote la sabbia per far
precipitare l’oro sul fondo e infine la parte leggera viene scaricata
dal flusso d’acqua in uscita. Per quanto riguarda la produttività,
avendo la possibilità di scaricare il “leggero” solo su uno dei quattro
lati e unicamente nella fase d'uscita dell’acqua, questo allunga di molto il tempo di
lavaggio. Ha tre grossi limiti: il peso, la forma quadrata e, per il
fatto di avere il fondo perfettamente piano e liscio ne consegue una
alta probabilità di perdere una parte delle
scagliette, per
cui richiede (per non perdere il “giallo”) una manualità difficile da
acquisire; quindi concludo che a mio parere la trula è uno strumento da
non dimenticare, ma da conservare nella memoria dei reperti storici.
NOTA DI Z.G.
In questa mia pag. FB c'è anche un video con la trula in azione. |
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