| |
|
|
|
|
Una pagina fatta con Cristiano
Bolamperti. |
|
|
Il testo che segue è un articolo apparso sul Periodico
Novarese ed è stato gentilmente messo a disposizione di questo
sito dal suo stesso autore. |
|
|
|
Fin
da quando ero bambino, rimanevo affascinato dai racconti di mio padre
Luciano e di mio zio Aldo sugli anni appena successivi la seconda Guerra
Mondiale, durante i quali, con il loro zio "Carlin Scirisin",
cercavano pagliuzze d'oro sulla sponda piemontese del Ticino, dal "Cason
ad Muntlam" alla "Raspagna". A quei tempi l'oro al
mercato nero era quotatissimo e un grammo rendeva quanto una settimana
di paga. E quell'ampolla contenente l'oro, che mia madre custodisce
tuttora gelosamente, era uno spettacolo per i miei occhi ogni volta che
l'ammiravo. Quelle scaglie di oro, dalla più grande di più di mezzo
centimetro di diametro, a quelle più minuscole, che si mescolavano nel
ruotare l'ampolla, creavano uno scenario che ammaliava!
|
Sentivo
parlare delle dure giornate trascorse sulle rive del fiume, delle
"barellate" di sabbia trasportate dalla cava alla "filarola"
che portava acqua all'asse, del pranzo frugale consumato sotto gli
alberi, della prima riga dell'asse che luccicava dell'oro che ivi in
gran parte si era depositato, della "Trula" sulla
quale veniva
setacciato ciò che sull'asse rimaneva a fine giornata fino a far
rimanere oro, ferro, piombo, della grande quantità di pesci presi
tramortendoli picchiando i sassi sotto ai quali si nascondevano. Tutti
questi particolari creavano nella mia immaginazione scenari
incredibilmente affascinanti! |
Nell'approssimarsi
dell'estate del 1985, ascoltando ancora quei racconti, chiesi a mio zio
se fosse possibile recuperare quegli attrezzi di cui tanto mi parlava.
Fu così che andammo nella soffitta della casa dove abitava la zia
"Ciadin", moglie
dell'ormai da tempo defunto zio "Carlin" e vi
ritrovammo la vecchia "trula". Arrugginita, ma integra!
Approntata smerigliandola e con un nuovo manico ricurvo all'indietro,
era pronta per essere riutilizzata. Andammo allora al Ticino e mio zio
la provò. Peccato che l' utilizzarla in maniera appropriata fosse cosa
tutt'altro che semplice. Ma tanto bastò perché si partisse per la
nostra avventura! |
L'attrezzo
più difficile da costruire era l'asse. La mia vicina, Rosanna, si
ricordò di avere nella soffitta della vecchia cascina, l'asse usato
molti anni addietro da suo padre e lo andammo a prendere. Era in
discrete condizioni, ma non tali da poter essere efficacemente
utilizzato. Ma quantomeno era una buona "dima" (prototipo) per
costruirne uno nuovo. Operazione che a mio zio riuscì abbastanza
agevole. Recuperati anche una pala ed un
setaccio, avevamo tutto il
necessario per andare alla ricerca del prezioso metallo! La prima uscita
vide protagonista, oltre a me e mio zio, anche mia nipote Emanuela.
Ricordo che andammo in prossimità del ponte di Oleggio, guidati da
Sergio Colombo (Cucù) incontrato casualmente nel tragitto. Sistemato
alla spartana l'asse, setacciammo la sabbia e iniziammo a
"lavarla" cioè a porla sul "pettine" dell'asse così
che l'acqua la trasportasse lungo tutta la sua lunghezza. Riempite le
righe, l'asse iniziò a lavorare in maniera corretta. E... l'oro c'era!
Poco, ma c'era. Setacciammo pochi secchi di sabbia, poi tirammo su
l'asse, recuperammo ciò che vi era rimasto e lo portammo a casa. Veniva
ora la parte più difficile: separare l'oro da tutto il resto del
materiale rimasto sull'asse utilizzando la trula. Si cimentò mio padre
in questa operazione, in un largo mastello nel giardino di casa. L'esito
non fu ottimale, perché un po' di oro scese dalla trula, ma era
comunque recuperabile nel mastello. Ma gran parte di esso rimase
sull'attrezzo e via via che sabbia e ferro venivano eliminati,
risplendeva sempre di più! Era poco, credo 2/10 di grammo, ma quanto
bastava per mandare il nostro entusiasmo alle stelle! Quando fu quasi
pulito, rimase solo con poco ferro e qualche scaglia di piombo. Il tutto
lo mettemmo in una pezza di seta bianca, la chiudemmo e la mettemmo ad
essiccare. Una volta asciugata, mio zio riaprì la pezza e versò il
contenuto su un foglio di carta bianca. Con una calamita eliminò il
ferro e con uno stuzzicadenti le scaglie di piombo. Ed ecco il nostro
oro pulito.... Complici le vacanze estive, le uscite sul Ticino si
ripeterono numerose, coinvolgendo anche mio padre e mio fratello Angelo.
Ovviamente facemmo le cose in grande. Visto che in quel luogo di oro ce
n'era, e che la distanza tra la cava e l'acqua era considerevole,
decidemmo un giorno di usare il trattore e il carro. Al mattino
setacciammo un carro di sabbia e nel pomeriggio procedemmo a passarla
sull'asse. Alla fine della giornata il nostro duro lavoro fu ben
ricompensato! Due grammi d'oro. Poco certo, per tutti i quintali di
sabbia setacciata, ma per noi era tantissima la soddisfazione! Cambiammo
poi luogo, dal "porto" alla "Raspagna", e l'oro
c'era sempre. |
Nel
tempo raffinammo la tecnica, cercammo i luoghi in cui l'oro era più
abbondante, costruimmo due nuove assi, ci procurammo una trula di
acciaio. Il tutto con i preziosi consigli ed insegnamenti di gente
famosa a Loreto in qualità di cercatori d'oro: ricordo Giovanni
Valentini (il Vis), il suo fido compagno Giacomo Massara (Mino Sudalon),
Rinaldo Sonzini (il Zac) primo ad utilizzare l'asse con lo zerbino (che
personalmente aborro!!). E i risultati furono confortanti. Passarono così
una decina d'anni, durante i quali la nostra attività ferveva
soprattutto nella stagione estiva, ma anche in primavera ed autunno,
finché le acque del Ticino non erano troppo fredde. Il frutto del duro
lavoro di quegli anni è tutt'ora rinchiuso in una boccetta di vetro. Le
pagliuzze sono di dimensioni ben inferiori a quelle dell'oro risalente
agli anni 45/50 ma ugualmente lucenti.
|
Il
tempo, si sa, ha il suo peso in ogni evento della vita. L'età avanzata
di mio padre e di mio zio e la sempre più ampia scarsità di oro nel Ticino, con conseguente maggiore difficoltà nel trovare posti ove
trovarne in quantità sufficiente a giustificare la tanta fatica
nell'estrarlo, han fatto si che da ormai 13 anni abbiamo abbandonato
quello che in fondo non era un lavoro, ma un hobby. Oggi c'è ancora
qualcuno a Loreto che lo pratica: Giacomo Platini, Gildo Lazzaro, ad
esempio. Gli ultimi a rappresentare l'orgoglio loretese dei cercatori
d'oro. Appassionati ed esperti conoscitori del fiume azzurro, così
cambiato dal tempo ma sempre capace di sprigionare un fascino
impareggiabile in coloro che lo amano. |
Cristiano
Bolamperti |
|
|
Vai
a inizio Storia oro Italia
Vai a inizio Storia oro del
Ticino
|
|