A proposito di fiumi auriferi e relativi cercatori d'oro amatoriali, la tesina di
Claudia Ceroni (che l'autrice stessa mi ha gentilmente concesso di pubblicare in rete) fa
onestamente il punto della situazione, nel senso che, senza perdersi in
descrizioni fascinose o ammalianti, espone chiaramente quella che é la
tipica giornata della maggior parte dei cercatori (dal tempo dei romani
sino ad oggi).
Commissione d' esame di idoneità professionale
Sessione
primaverile 2005 – Esame orale il
12 settembre 2005
Tesina
di Claudia Ceroni
Le
ricerche aurifere nel nuovo millennio
La
febbre dell’oro
Dal
tempo dei Romani a oggi
una
tradizione poco nota e poco remunerativa,
ma
che non passa mai di moda.
Domenica,
ore 7:00, provincia di Biella. Un gruppo di amici è appena arrivato sul
torrente Elvo. Niente canne da pesca, ami o esche: gli attrezzi che
hanno con sé si chiamano batèa e canaletta. Lo scopo della scampagnata
infatti non è la pesca di trote e persici, ma la ricerca dell’oro. Sì,
l’oro. Perché l’Elvo, ma anche l’Orco, il Piota e il
Ticino, sono
corsi d’acqua già noti in epoca romana come giacimenti di oro
alluvionale. Oggi, in Italia, sono quasi 500 i cercatori del prezioso
metallo, colpiti da una febbre ereditaria tramandatasi nei secoli.
Tutto
cominciò con i Romani, che secondo il racconto di Plinio e Strabone,
nel II secolo a.C. si impossessarono delle miniere del biellese,
strappandole alla popolazione dei Vittimuli. Dopo quasi 300 anni di
sfruttamento intensivo, in cui arrivarono a impiegarvi fino a 5.000
lavoratori, l’oro diminuì drasticamente e i Romani si indirizzarono
alle più redditizie miniere iberiche. Da allora, la ricerca dell’oro
nell’Elvo si trasformò in un’attività priva di intenti
commerciali, praticata dai contadini in alternanza al lavoro nei campi.
L’oro trovato non consentiva a nessuno di arricchirsi, tutt’al più
poteva essere utilizzato come merce di scambio. Significativo in tal
senso il fatto che fino all’Ottocento la ricerca fosse definita
“pesca”: allo stesso modo di chi pescava trote, c’era chi pescava
oro. Soltanto nel Novecento il termine scompare e dal Nord America fanno
breccia nell’immaginario italiano il leggendario Klondike e la figura
dell’avventuriero, sulle tracce del filone che lo avrebbe reso ricco.
Tramontata l’era della pesca, debutta nella lingua italiana
quella della ricerca.
Il
cercatore d’oro del Duemila è un hobbista che ama passare una
giornata in riva al fiume in compagnia degli amici, senza l’illusione
del guadagno, piuttosto per il piacere di conservare i piccoli
quantitativi di oro trovato. Il gruppo ideale è formato da quattro o
cinque persone, che si alternano nelle tre fasi del lavoro. La prima è
il cosiddetto “assaggio”, ovvero lo studio del torrente alla ricerca
delle zone più ricche d’oro. Sotto l'azione della corrente, infatti,
il materiale è trasportato a valle per poi depositarsi, secondo pesi
specifici decrescenti, in punti del torrente ben precisi. I metalli a
maggior peso specifico, come l’oro, sono sospinti sulle rive meno
esposte alla corrente, dette “punte”, in corrispondenza di una curva
o di un allargamento dell’alveo. Lo strumento utilizzato in questa
fase è il piatto, o batèa, con il quale si scruta la sabbia alla
ricerca di materiali pesanti.
Individuata
la zona giusta, si passa al secondo momento, il lavaggio, effettuato con
l’aiuto della canaletta, un’asse lunga e stretta, delimitata da due
sponde, che consente di separare i materiali in base al peso specifico.
Posizionata nel senso della corrente in modo che l’acqua vi scorra
dentro, funziona come un filtro: il terriccio e i materiali leggeri
fuoriescono dalla canaletta trascinati dal flusso dell’acqua, mentre
le scanalature meno esposte alla corrente trattengono i minerali
pesanti, in prevalenza magnetite e ferro, ma anche l’agognato oro.
“In questa fase – spiega Arturo Ramella, presidente della
Associazione Biellese Cercatori d’oro -
ci si divide il lavoro: alcuni scavano e setacciano
grossolanamente l’arenile, altri trasportano i secchi di sabbia, uno
soltanto usa la canaletta”. Al termine, il materiale pesante raccolto
è sottoposto a un secondo lavaggio effettuato con l’aiuto del piatto.
Ma attenzione: soltanto il cercatore più abile è in grado di imprimere
al piatto il ritmo di rotazione che serve a separare l’oro dagli altri
minerali. Per i meno esperti, un piccolo escamotage: la calamita, che
elimina in fretta le particelle di ferro.
“Fino
a venti anni fa, - racconta Arturo Ramella - in una giornata di lavoro
era
possibile portare a casa un grammo d’oro. Oggi otteniamo
solo pochi
decimi di grammo”. Un processo inesorabile, sostengono gli esperti,
secondo i quali il futuro delle riserve alluvionali è segnato. L’oro
dei fiumi proviene infatti dai filoni quarzosi che solcano le Alpi
occidentali, dal Monte Rosa all'Appennino Ligure. Alla fine dell'era
glaciale, l’acqua scese verso valle e nel processo di formazione dei
fiumi - quelli che oggi solcano la Pianura Padana - trascinò con sé
rocce e minerali. Del "prezioso" bottino originario, depredato con
sistematicità dai nostri antenati, a noi non restano che le briciole,
anzi le pagliuzze: di forma schiacciata e tondeggiante, che sono grandi appunto
come briciole di pane.
Anche
quel poco però può dare grandi soddisfazioni. Un tempo, era diffusa
tra i cercatori del biellese la tradizione di fondere l’oro ricavato
dal torrente Elvo nelle fedi nuziali. Una consuetudine attestata anche
nella zona del Ticino, dove il più famoso "cavaòr" della
storia pare abbia trovato, in circa quarant'anni di fatiche, due chili e
mezzo di pagliuzze. Anche fuori dall’Italia, la ricerca dell’oro ha
dato vita a usanze romantiche. Nel nord della Finlandia, nella località
di Tankavaara, in prossimità delle nozze i fidanzati campeggiano sul
fiume per qualche giorno, e non fanno ritorno al villaggio prima di aver
pescato i 10-12 grammi necessari alla confezione di due fedi. Una sorta
di esperimento di convivenza prematrimoniale che, se ha successo, non può
che saldare l’amore in una lega duratura. Provare per credere.
Nota di Zappetta Gialla. In questa
pagina non ci si riferisce ovviamente
ai cercatori d'oro
nativo, situazione quest' ultima che per i metodi di ricerca che richiede,
e soprattutto per la natura dei suoi stessi
depositi, offre di certo all'appassionato la continua speranza e
possibilità
di momenti assai particolari.