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Il mercurio nella storia

 

 

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Mercurio e oro, amalgamazione nell'antichità: le origini.

 

Premesso che dalla scoperta del mercurio passarono in realtà diversi secoli prima che venne trovato il modo di usarlo a livello minerario per isolare o estrapolare l'oro da altri minerali, in queste pagine sequenziali viene appunto descritto per esteso il processo di conoscenza che portò infine al suo utilizzo professionale.

 

ORO, MINIERE, STORIAA proposito del cinabro, Plinio (XXXIII, 37) ricorda la scoperta dell’ateniese Callia, avvenuta nell’anno 349 di Roma (405 a.C.) e raccontata da Teofrasto, nella quale qualche autore ha erroneamente visto un accenno all’amalgamazione delle sabbie aurifere. Teofrasto (VIII, 58-59) distingue il cinabro naturale, proveniente dalla Spagna, da quello artificiale proveniente da Efeso e consistente in fine polvere ottenuta per lavaggio di sabbie alluvionali (vedi un es. di lavaggio di quei tempi descritto proprio da Plinio,  oppure vedi i lavaggi amatoriali odierni): questo era stato scoperto da Callia, un ateniese delle miniere d’argento (di Laurium), che cercando l’oro in un fiume era rimasto ammirato dal bel colore rosso della sabbia concentrata, ma fin dalla preistoria l’uomo ha cercato e raccolto il cinabro per utilizzarlo come colorante. In Anatolia sono stati trovati crani umani risalenti al VII millennio a.C. colorati con strisce rosse del minerale proveniente dal giacimento di Buyuk Maden, non lontano dal luogo del ritrovamento. Anche alcuni giacimenti del Monte Amiata, in Toscana, sono stati coltivati nell’età della pietra, come dimostra il ritrovamento, in più occasioni, di strumenti litici, di utensili in legno e di corna di cervo opportunamente adattati allo scavo (STRAPPA, 1977). La presenza del mercurio nativo, trasudante dal suo solfuro o sgorgante a fiotti da qualche fessura aperta accidentalmente, non poteva non attirare l’attenzione dei minatori che, certamente, cominciarono a raccoglierlo attratti dalle sue strane peculiarità: vasetti contenenti mercurio sono stati trovati in tombe egizie del 1500 a.C. e in mausolei indiani, persiani e cinesi più recenti.

Nei primi tempi il mercurio venne utilizzato per pratiche religiose e mediche, alcune delle quali proseguite in epoca storica e tramandateci da autori classici, a partire da Aristotele (384 - 322 a.C.). Un’altra utilizzazione, che recenti indagini dimostrano essere molto antica, riguarda l’indoratura di oggetti d’argento e di rame, tecnica che sembra sia nata in Cina intorno al 1000 a.C., che è stata probabilmente usata per oggetti micenei ed etruschi del VI secolo a.C. e, più sicuramente, per alcuni oggetti cinesi del III secolo a.C. conservati al British Museum (LINS e ODDY, 1975). Nel De Arc/Bitectum, scritta tra il 25 e il 15 a.C., Vitruvio afferma che senza il mercurio (<<argentum vivum>>) non è possibile indorare bene né rame né argento (VII, 8). Piu tardi, Plinio (23-79 d.C.) descrive il metodo nella Naturali's Historia: l’oggetto da "indorare" viene accuratamente pulito, riscaldato e ricoperto da una mistura di pomice, allume e mercurio sulla quale viene applicata la foglia d’oro (XXXIII, 22); il rame indorato con l’argento vivo tiene tenacissimamente la foglia, ma se questa è troppo sottile traspare il <<pallore>> del mercurio, per cui i disonesti hanno trovato il modo di utilizzare fraudolentemente il bianco d’uovo mescolandolo con l’idrargirio; d’altra parte l’argento vivo non si trova in grande quantità (XXXIII, 32); attualmente l’argento si indora soltanto con l’idrargirio, e così si dovrebbe fare con il rame, ma, come si e visto, la frode ha trovato il modo di usare materia più vile (XXXIII, 42).
Benché non si possa qui parlare di un vero e proprio procedimento volontario di
amalgamazione, è chiaro che gli antichi artisti conoscevano bene la particolare affinità di oro, argento e rame per il mercurio. L’utilizzazione diretta di amalgama d’oro, e successivo riscaldamento per eliminare l’eccesso di mercurio, venne comunque introdotta ben presto, tanto da essere citata in uno dei cosiddetti <<Papiri_di Leyda>>, una specie di manuale tecnico compilato in Egitto agli inizi del IV secolo d.C. ed oggi conservato al Museo delle Antichità della città olandese (HUNT, 1976). I due procedimenti di indoratura convivevano ancora nel Cinquecento, come testimonia Benvenuto Cellini, il quale affermava di preferire il secondo a causa dell’inconveniente che spesso presentava il primo, cioe il <<pallore» gia segnalato da Plinio. Anche l'argentatura con amalgama deve aver avuto origine nei primi secoli dell’era cristiana e ne troviamo cenno, assieme all’indoratura, in un opera del IX secolo di Al-Rashis.
Riguardo al nome del liquido metallo, occorre notare che mercurio è un termine entrato in uso nell’alchimia medioevale, che associava i metalli ai pianeti. Plinio definisce argento vivo il prodotto naturale e idrargirio quello ottenuto artificialmente dal cinabro. I due prodotti, a quanto pare, non erano del tutto simili e confondibili: quello artificiale aveva un valore inferiore ma serviva bene per indorare l’argento, mentre per il rame era preferibile l’argento vivo. Anche l’idrargirio veniva però adulterato, dato il suo costo elevato: era infatti ottenuto per distillazione parziale o totale di un prodotto colorante, il cinabro o minio, tanto costoso da essere a sua volta falsificato, con sangue di capra o sorbe peste (XXXIII, 39). La differenza sostanziale ed economica si mantenne a lungo e andò scomparendo nel Medioevo, probabilmente grazie al miglioramento delle tecniche di distillazione: per alcuni procedimenti Tommaso D’Aquino (1225-1274) consiglia di usare soltanto il <<mercurio naturale>> o <<terra di Spagna», come prescritto dal suo maestro Alberto Magno (1193-1280); per altri, afferma, si può usare il <<mercurio comune» sebbene questo non abbia lo stesso valore (Secreta Alchimiae, VII).
Ai tempi di Plinio l'idrargirio veniva ottenuto in due modi (XXXIII, 41). Il metodo più antico, gia segnalato da TEOFRASTO intorno al 310 a.C. (De Lapadibus, VIII, 59), consisteva nel pestare il cinabro con aceto in un mortaio di bronzo; sembra comunque che questo sistema consentisse solo di espellere il mercurio nativo che impregnava il minerale macinato per la fabbricazione del colorante. Anche l’altro metodo trae origine dalla preparazione del prodotto colorante: Vitruvio (VII, 8) ci dice che per preparare il <<minio» dal minerale occorre anzitutto far seccare questo in fornaci, per liberarlo dalla "pienezza di liquido"; il vapore, condensato sul pavimento del forno, si trova essere argento vivo (mercurio) in gocce tanto piccole da non poter essere raccolte se non scopandole dentro un vaso d’acqua, dove le gocce si raggruppano. In Plinio troviamo invece la descrizione del procedimento volontario di distillazione: il minerale si mette in grandi vasi di terra con coperchi di ferro ben sigillati con argilla e posti su fuochi alimentati da mantici; alla fine si raccolgono le gocce condensate nei coperchi. Il procedimento è descritto anche dal greco Dioscoride, contemporaneo di Plinio, nel De Materia Medica scritta intorno al 50 d.C. La velenosità del metallo e la pericolosità dei fumi è ampiamente riconosciuta dagli autori e l’intossicazione per inalazione viene oggi definita idrargirismo.
La prima descrizione della procedura di amalgamazione per il recupero dell’oro si trova in Vitruvio (VII, 8). Dopo aver fatto alcune considerazioni sul peso specifico delle sostanze, evidenziato con immersione nel mercurio, e dopo aver accennato all’indispensabile utilizzo di questo per l’indoratura, l’autore continua: <<Quando una veste intessuta d’oro è tanto consumata da non poter più essere usata decentemente, i cenci vengono bruciati in vasi di terra, la cenere si raccoglie in acqua e si aggiunge argento vivo; questo ghermisce tutte le scaglie d'oro e le costringe ad unirsi a sé; si versa poi il liquido in un panno e si strizza con le mani di modo che l’argento vivo, per la sua liquidità, viene compresso fuori, mentre nel panno si ritrova l’oro puro>>. Plinio, di cui Vitruvio è una delle fonti, ripete: <<Nell’argento vivo nuotano tutte le cose all’infuori dell’oro; soltanto questo esso attira a se e lo pulisce ottimamente da tutte le brutture dimenandolo in vasi di terra. Ma ancora si può separare da esso versandolo in pelli, attraverso le quali l’argento vivo trasuda lasciando l’oro puro (XXXIII, 32)>>.
Parrebbe, ad una prima lettura, che Plinio si sia limitato a riprendere Vitruvio, se non fosse per un piccolo ma significativo particolare: per lo strizzamento dell'amalgama Vitruvio segnala l’uso di un <<pannum», Plinio, più correttamente, l’uso di <<pelles>>; è noto infatti che soltanto i finissimi pori di una pelle consentono la fuoruscita del solo mercurio non amalgamato. Entrambi gli autori si riferiscono comunque a modestissime quantità di sottili manufatti e sono d’accordo nel ritenere (erroneamente) che soltanto l'oro venga attratto dal mercurio e che dopo la strizzatura si ottenga oro puro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti di questa pagina

 

M. Evo amalgamazione

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