Sito di Zappetta Gialla sull'Oro.

Vai Home page   Vai al Sommario

 

 

E' un Sito sull'oro con centinaia di pagine utili alle vostre ricerche e dispone anche di Facebook per dialogare ecc. Per la Posta in generale: ho sostituito la mia precedente pagina Facebook (si può ancora consultarla, ma non più scriverci) con una nuova in formato Gruppo, la cui iscrizione è assolutamente gratis e dove potrete inserire domande o argomenti aggiungendo vostri "post", oppure rispondere e dialogare in quelli di altri già presenti.

Per la Posta particolare, invece, cioè dialoghi privati ed esclusivi con giornalisti, enti, collaboratori scrivetemi qui

IMPORTANTE: se nel vostro schermo la tabella centrale, testi ed altro li vedete troppo piccoli potete ingrandire tenendo premuto il tasto Ctrl e cliccando su + o -

 

Canavese nella Storia

 

 

pubblicazione di Miniere d'Oro(2003) web.tiscali.it/minieredoro(2004) www.minieredoro(2006 / 2023)

 

 

Sezioni principali di questo Sito:

Miniere d'Italia

La Valle d'Ayas

Giuseppe Pipino

Il deposito di oro alluvionale italiano

Italia fiumi con oro

Imparare a cercarlo

Attrezzi necessari

Pulizia dei minerali

E' oro? e tipi di oro

Le Leggi sulla ricerca

I cercatori d'oro

Storia oro Italia

I minerali in genere

Club, gare e mostre

Pagina guida per ricerche scolastiche

Oro nel mondo

I vostri racconti

Collaboratori e corrispondenti

   

Da diversi testi ben più autorevoli di questo semplice Sito (si veda ad es. Jervis, Balbo, Robilant ecc.) si apprende che il Canavese fu oggetto di ricerca dell'oro sin dai tempi più remoti: non a caso la tradizione orale vuole tramandarci che un terreno chiamato 'Bose (in forma di alveo con mucchi di pietre) sia stato rovistato già al tempo dei Romani e la cosa troverebbe in effetti conferma dal fatto che anche ai giorni nostri il posto in questione ha offerto gratificanti giornate di pesca dell'oro.

Nel 1300, se non prima, era già stata stipulata una sorta di licenza a pagamento per i cercatori, i quali probabilmente esercitavano l'attività in questione soprattutto durante l'inverno, quando cioè i lavori abitudinari erano fermi. I proventi di questa tassa rivolta non solo ai pescatori d'oro, ma anche a chiunque lo fondesse, spettavano ai feudatari locali e di questo si ha precisa descrizione nei testi di G. Frola, il quale ci descrive infatti che tale pratica fosse in uso ad es. a Pont Canavese. Sempre lo stesso autore ci fa presente che in altri posti, invece (ad es. presso Verolengo), c'era l'assoluta proibizione sulla raccolta del metallo. A proposito di questo periodo lo scrittore Pietro Azario, vissuto in quel periodo, scrive: "Un fiume ha un nome maschile e si chiama Orco: proviene dalla Valle Soana e dalle montagne della Provenza, segna un percorso assai lungo. Vi si raccoglie una gran quantità di oro e se ne trovano grani così grossi che io ne vidi uno del valore di sedici fiorini." Il professore Martino Baretti, durante una conferenza tenuta a Ivrea nel 1893 affermò che tale pepita era stata rinvenuta nelle alluvioni di Feletto e aveva un peso di 41 grammi.

Nel 1600 e secolo a seguire, tutti i vari diritti sui minerali d'oro continuano (democraticamente...) ad esser riservati ai vari Conti locali arrivando così al 1700, periodo in cui, come se non bastasse il proibizionismo già in atto, vengono pubblicati praticamente in tutto il canavese i cosiddetti Bandi Campestri. Riporto a puro titolo di esempio i sostanziali contenuti di uno di essi e cioè quello emesso nel 1773 nel Valpergato, comprendente gli allora territori di Valperga, Courgné, Salassa, San Ponzio, di Pertusio, di Prascorfano, Pratiglione, di Sancolombano, di Sale di Canischio, lo stesso Canischio, Camagna: "...Si prevede eguale pena sia per chi (senza un' apposita licenza) eserciti la cattura dei pesci, sia per chi pratichi la pesca dell'oro: quanto ritrovato  e sequestrato andrà diviso a metà tra denunciatore e fisco signorile: inoltre a quest'ultimo perverrà anche l'incasso della pena pecuniaria" (che, aggiungo io, risulta molto elevata, per di più se si pensa che si riferiva anche alla pesca "di pesci": dieci lire di allora!).

Nel 1785 il Conte Balbo scrive nel suo "Memoire sur le sable aurifère de l'Orco et des environs" i risultati di una sua ricerca fatta l'anno precedente sui corsi d'acqua del Valpergato, sulla destra dell'Orco informandoci così che secondo lui il nobile metallo è presente in tutti i piccoli ruscelli che scendono dalla collina di Belmonte, tra Valperga e Rivara. Egli afferma anche che l'Orco ha oro solo a valle di Pont Canavese, e in particolare a valle di Courgné. Balbo continua dicendo che il Malone è piuttosto ricco e che le maggiori ricerche si fanno invece nei pressi di Valperga e di Rivarolo (Orco) con ricavi solitamente minimi, ma ogni cercatore spera in quella zona di trovar fortuna: egli parla infatti di grani d'oro pesanti 5 denari e di uno pagato 100 lire trovati tra Valperga e Pertusio, nelle sabbie aurifere del torrente Marquera. L'autore parla anche dei metodi di lavaggio del materiale cui ha personalmente assistito nella zona di Pertusio (ricordo che siamo a fine 1700): dalla descrizione appare che nel complesso si tratta del metodo tradizionale, pressoché identico fin dal momento dell'assaggio, a quello usato ancor oggi dai "pescatori" canavesani.

 

Lo sfruttamento industriale. Tra i primi ad interessarsi della possibilità di coltivazione industriale delle alluvioni aurifere del Canavese fu l'inglese John Marshal di Halifax, ma domiciliato a Cuorgné, che tra il 1867 e il 1875 chiese ed ottenne alcune concessioni prefettizie per i torrenti Orco, Malone, Gallenca e Soana, dopo di aver ottenuto alcuni consensi di proprietari terrieri ed aver depositato una congrua somma per il risarcimento di eventuali danni. Secondo la Legge mineraria sarda del 1853 le sabbie e le terre metallifere potevano infatti essere coltivate soltanto dal proprietario del terreno o con il suo consenso (art. 130) e dopo averne data comunicazione all'Intendente del Circondario (art, 131). D'altra parte la stessa legge sanciva che "la ricerca o Pesca dell'oro" e di altri metalli nelle "sabbie e terre depositate dai fiumi o torrenti" era libera a tutti, previo osservanza delle leggi sulle acque (art. 145): questo provocherà non poche complicazioni burocratiche e conflitti di competenza, aggravati, negli anni successivi, dalle modifiche legislative e amministrative del neonato Regno d'Italia.
Nel 1883 varie persone del posto ottennero analoghe autorizzazioni nei dintorni di Castellamonte e, agli inizi del 1884, cominciarono ad interessarsene in particolare lo svizzero George Perret, l'ing, Antonio Clement Rossi e Giovanni Rocchetti che si accaparrarono il consenso di numerosi proprietari terrieri, ottennero le autorizzazioni prefettizie per numerose località nei dintorni di Castellamonte e di Rivara e promossero la costituzione di una "Societé des placers aurifères de Castellamonte", alla quale trasferirono i diritti acquisiti.
Successivamente, nel febbraio 1885, costituirono a Ginevra la SOCIETE' DES PLACIERS AURIFERES DU PIEMONT, società a responsabilità limitata con capitale costituito da 50.000 parti senza valore determinato, delle quali 3600 rilasciate ai proprietari di parti della liquidanda società di Castellamonte. Il 12 febbraio 1885 la nuova società, che aveva sede sociale a Ginevra e ufficio amministrativo a Castellamonte, emise certificati di proprietà di una parte, molto estetici, riportanti l'intero Statuto (di essi il Museo dell'Oro possiede i numeri 29.946 e 30.364).
Intanto alcuni comuni proprietari di terreni lungo l'Orco, rifiutavano il permesso di escavazione alla vecchia società mentre la nuova incontrava le prime difficoltà per il trasferimento delle autorizzazioni da quella ottenuta.
Nell'Assemblea Generale del 16 novembre 1885 a Ginevra, l'Amministratore Gerente G. Perret avvertiva la necessità di trasformare la società in anonima con un capitale determinato, possibilmente non inferiore ad un milione di franchi, tale da poter rappresentare una garanzia morale di fronte alle pubbliche amministrazioni italiane e ai proprietari dei terreni. Data l’intrinseca difficoltà di rapportare le singole parti al capitale sociale, specie in mancanza dei risultati di coltivazione, l’Assemblea delegò il Comitato di Amministrazione a predisporre un piano di trasformazione, mentre approvava la proposta di affidare la coltivazione di singole aree ad altre imprese, dietro corresponsione di una parte dell'oro estratto: la società, che si autodefiniva "senza capitali", non era infatti in grado di affrontare le spese di coltivazione in tutti i 100.000 ettari sui quali vantava diritti di sfruttamento. Venne inoltre approvata l’istituzione di una sede amministrativa a Torino, che sarà in Via Garibaldi 57.
Secondo le previsioni e gli accordi intercorsi con una impresa, agli inizi del 1886 venne impiantata nei pressi di San Benigno una prima draga galleggiante, battezzata Regina Margherita. Costata complessivamente 120.000 lire, la draga avrebbe dovuto trattare da 1500 a 2000 metri cubi di sedimento alluvionale al giorno, al costo di 30 centesimi di lira al metro cubo comprensivo della mano d’opera che, al tempo, si aggirava sulla Lira al giorno. Con i tenori medi riconosciuti di 0,40-0,50 grammi d’oro, al prezzo di poco più di 3 lire al grammo, l'operazione avrebbe quindi consentito di ottenere enormi utili. I dati vennero propagandati con enfasi e nell’agosto 1886 venne pubblicato a Torino, a cura del Consiglio d’Amministrazione, l’opuscolo "Notices sur la Société des Placers aurifères du Piémont" che, oltre allo Statuto, ad una carta del Canavese ed una splendida litografia della draga, contiene notizie sulla società ed una tabella di "probabilté de la valeur industrielle des parts sociales" basata sulla lavorazione, da parte di varie imprese, di 100.000 metri cubi al giorno, con tenori variabili da 0,20 a 0,54 grammi d’oro al metro cubo e l’introito netto da parte della società di un quarto dell’oro estratto.
Assicuratasi l’assenso di 7736 proprietari terrieri in 31 diversi comuni, la Società predispose ambiziosi progetti di rettificazione e arginatura dell’Orco, della Dora e del Malone, cosa che avrebbe evitato i frequenti straripamenti e consentito di bonificare estese porzioni di terreno ghiaioso. Su tale basi chiese al Governo italiano un decreto di concessione esclusiva e la dichiarazione di opera di pubblica utilità.
In realtà, come riferisce l'ingegnere capo del distretto Minerario di Torino nella Relazione ufficiale, alla fine del 1886, "... questa draga, dopo aver fatto parlare di sé assai e di aver servito ad esperimenti, non entrò mai in continua funzione industriale...". Come tutte le prime rudimentali draghe galleggianti, buone per le sabbie marine olandesi ma incapaci di operare in terreni alluvionali grossolani, la draga si dimostro infatti incapace di operare nell’Orco, né servirono a qualcosa le numerose modifiche a cui fu sottoposta. Nei brevi periodi di lavoro riusciva a trattare al massimo 500 metri cubi di sedimento recuperando a mala pena, con i grossi canali riempiti di mercurio, il 50 % dell’oro contenuto. Gli stessi tenori risultarono alla fine inferiori alle previsioni non raggiungendo, in media, 0,20 grammi d`oro al metro cubo.
L'insuccesso della prima draga, seguito dall’abbandono e dalle polemiche di alcuni soci lionesi sul prestigioso giornale "Bourse Lyonnaise", che provocarono l’interruzione delle trattative con una impresa Sokolowsky, non scoraggiarono George Perret che attribuì tutte le colpe ai cattivi rapporti con la prima impresa con la quale la Società, "priva di capitali", non aveva potuto imporsi, e prese accordi con altri imprenditori pronti ad assumersi tutti gli oneri dietro corresponsione di un terzo dell’oro estratto.
Nell’Assemblea Generale del 22 dicembre 1886, a cui parteciparono 100 soci per un totale di 45.707 parti, venne decisa, con la maggioranza di 36.260 voti contro 9447 la liquidazione della Società svizzera e la costituzione di una nuova società anonima francese con capitale di un milione di franchi, dando mandato al Comitato di Amministrazione di operare la trasformazione. Il processo verbale dell’Assemblea ginevrina, con altre notizie sull’operato in particolare del Perret, venne pubblicato a Torino ai primi del 1887 in un opuscolo dal titolo: "Rapport sur la tranformation de la Societé Suisse des Placers Aurifères du Piemont en Societé anonime francaise".
Nel corso del 1887 venne varata nell’Orco un’altra draga, la più grossa della nota Werf Conrad Limited di Londra e Haarlem (Olanda), ma anche questa diede pessimi risultati, specie per quanto riguarda il recupero dell’oro, tanto che nel 1888 la Società dovette riprendere lo studio delle alluvioni per accertarne i contenuti. La nuova società anonima francese venne comunque costituita nel novembre 1888 presso il notaio Lefebvre a Parigi, dove si fissò la sede legale in Rue de Provence 59. Il milione di franchi non venne però sottoscritto e ci si dovette accontentare di un "capitale variabile non riducibile al di sotto di 100.000 franchi, suddiviso in 50.000 parti con diritto all'80 % degli utili netti. Il 29 novembre 1888 vennero emesse le nuove Parti di Fondatore, al portatore, di colore verde, firmate, tra gli altri, dal solito Perret (il Museo dell'Oro ne possiede numerosi esemplari e molti se ne trovano ancora in commercio, tutti con le 24 cedole al loro posto).
La draga continuava comunque a non dare alcun risultato e nel corso del 1889 i lavori vennero sospesi mentre si instaurava una controversia tra l’impresa e la ditta costruttrice. Anche le nuove analisi eseguite dalla Società non furono molto incoraggianti: tra il 1888 e il 1889 erano infatti stati eseguiti 5 sondaggi con grossi tubi spinti fino a profondità di 10 metri e riempiti di aria compressa per consentire ad un operaio di prelevare campioni di "alluvione indisturbata", e di questi solo uno, presso il ponte di Feletto, diede un qualche risultato utile, con una media di 0,388 grammi d'oro per metro cubo su una profondità totale di 6 metri e mezzo.
Alla fine del 1889 venne varata un’altra draga nei pressi di Chivasso, ma non diede migliori risultati delle precedenti e la stessa amministrazione mineraria dovette prendere atto che finché non si fossero messi meglio a punto e risolti alcuni dei problemi meccanici sul quale si fonda tutto il contesto, non sarebbe stato possibile ottenere degli "utili" più significativi.

 

NOTE STORICHE DA DOCUMENTI MINERARI ANTICHI. Anno 1739. Lorenzo Colombo di Ceresole chiede di coltivare una miniera d'oro e di argento da lui trovata nelle montagne di Noasca, in località "la Rovina Nuova" (ossia Monpelor). Nello stesso anno, Don Michele Virando di Bonso chiede di poter coltivare la miniera di rame da lui scoperta in Valle di Pont, località" Rosette". 1824: una lettera dell'Azienda Economica dell'Interno, rivolta al primo Segretario di Stato riporta notizie sulla presunta miniera d'oro La Mionda, in territorio di Ronco, provincia d'Ivrea. 1310/1311: in quegli anni furono riscossi 25 soldi, da uomini di Rivarossa e da forestieri che raccolgono oro nel torrente Malone; nel periodo 1312/1316 furono riscossi invece da due a tre soldi all'anno; nel 1317 cinque soldi (località Rivarossa), più dieci soldi per contravvenzione a Jacopo della Perucca, che lo cavava senza licenza del castellano; 1318, nessun introito dalla zona di Rivarossa perché non vi sono stati cercatori, mentre tra il 1319 ed il 1327 la riscossione a Rivarossa ha dato la media di venti soldi all'anno; 1929/1930, dodici soldi l'anno (sempre per la contea di Rivarossa). 1339/1343: Pietro Azario scrive (nel De bello canapiciano) che nell'Orco si cava una grande quantità d'oro, e di averne visto un pezzo del valore di 16 fiorini (circa 40 grammi). 1791: in quell'anno si menziona una miniera d'oro scoperta da Domenico Gianoli a quattro miglia da Castellamonte. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti di questa pagina

 

Draghe sull'Orco
Persone di Ieri
Articolo di F. Preziosi

All contents copyright
© 2003--2023 VDA
All rights reserved.
No portion of this service may be reproduced in any form.

Posta in generale: ho sostituito la mia precedente pagina Facebook (si può ancora consultarla, ma non più scriverci) con una nuova in formato Gruppo, la cui iscrizione è assolutamente gratuita e dove potrete inserire domande o argomenti aggiungendo vostri "post", oppure rispondere e dialogare in quelli di altri già presenti. Posta particolare: per dialoghi privati (giornalisti, istituti ecc.) scrivetemi invece qui.

Indicazioni stradali con Google

Puoi collaborare inviando materiale generico o resoconti di esperienze personali: le schede riporteranno il tuo nome  (vedi qualche esempio).

Per la Rete. Oltre alle conseguenze nelle quali spesso s’incorre, tipo intervento da parte di terzi legittimamente interessati (un esempio), copiare o utilizzare contenuti d’altri siti porta quasi sempre a risultati screditanti per il proprio lavoro, soprattutto nel caso il materiale fosse tratto da web ben conosciuti e molto visitati i cui utenti, nel caso appunto ravvisassero (accidentalmente?) il contesto di cui sopra, considererebbero detta scopiazzatura come rivelatore della mancanza di buon gusto oltre che di idee nei confronti del gestore del sito in “odor” di plagio . In ogni caso si tratterebbe di un gesto che, al di la delle apparenze iniziali, non offrirebbe al proprio web alcuno sviluppo positivo per il semplice motivo che non è generato da un’azione costruttiva bensì passiva.  A mio modesto avviso, un sito per risultare interessante deve avere una propria personalità nella scelta dei contenuti e nel modo in cui questi vengono presentati: meglio ancora se caratterizzato da alcune informazioni non  facili da reperire. Altro che copiare da altri siti. Per il cartaceo. Talvolta vengo a sapere che qualcuno ha utilizzato paragrafi del sito nella stesura di qualche suo lavoro su cartaceo (libri ecc.): non mi riferisco certo ai seri scrittori e giornalisti che con una comune richiesta di autorizzazione via e-mail (la concedo sempre, salvo particolarismi) mi appagano anzi di soddisfazione per quanto concerne la mia attività in rete (e ciò mi basterebbe), ma piuttosto alle persone che pubblicano il contesto non solo senza chiedermene per semplice formalità il consenso, ma addirittura senza la buona educazione di citare, nel prodotto finito, il fatto di avere in qualche misura attinto anche dalle mie pagine. Non riporto per esteso le credenziali dei "maldestri autori" dei quali mi sono finora accorto perché ritengo che i loro nomi (e pubblicazioni annesse) non meritino qui di essere "pubblicizzati" in alcun modo, cioè esattamente al contrario e nel rispetto di come invece solitamente mi comporto con tutte le persone che mi contattano in simili circostanze e delle quali in seguito io segnalo appunto con piacere (è nell'interesse informativo del sito) la pubblicazione che li riguarda. Insomma, una questione d'impostazione e correttezza reciproca che tra l'altro può solo agevolare entrambi.