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Da
diversi testi ben più autorevoli di questo semplice Sito (si veda ad
es. Jervis, Balbo, Robilant ecc.) si apprende che il Canavese fu oggetto
di ricerca dell'oro sin dai tempi più remoti: non a caso la tradizione
orale vuole tramandarci che un terreno chiamato 'Bose (in forma di alveo
con mucchi di pietre) sia stato rovistato già al tempo dei Romani e la
cosa troverebbe in effetti conferma dal fatto che anche ai giorni nostri
il posto in questione ha offerto gratificanti giornate di pesca
dell'oro.
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Nel 1300, se non prima, era già stata stipulata una sorta di licenza
a pagamento per i cercatori, i quali probabilmente esercitavano
l'attività in questione soprattutto durante l'inverno, quando cioè i
lavori abitudinari erano fermi. I proventi di questa tassa rivolta non
solo ai pescatori d'oro, ma anche a chiunque lo fondesse, spettavano ai
feudatari locali e di questo si ha precisa descrizione nei testi di G.
Frola, il quale ci descrive infatti che tale pratica fosse in uso ad es.
a Pont Canavese. Sempre lo stesso autore ci fa presente che in altri
posti, invece (ad es. presso Verolengo), c'era l'assoluta proibizione
sulla raccolta del metallo. A proposito di questo periodo lo scrittore
Pietro Azario, vissuto in quel periodo, scrive: "Un fiume ha un
nome maschile e si chiama Orco: proviene dalla Valle Soana e dalle
montagne della Provenza, segna un percorso assai lungo. Vi si raccoglie
una gran quantità di oro e se ne trovano grani così grossi che io ne
vidi uno del valore di sedici fiorini." Il professore Martino
Baretti, durante una conferenza tenuta a Ivrea nel 1893 affermò che
tale pepita era stata rinvenuta nelle alluvioni di Feletto e aveva un
peso di 41 grammi.
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Nel 1600 e secolo a seguire, tutti i
vari diritti sui minerali d'oro
continuano (democraticamente...) ad esser riservati ai vari Conti locali
arrivando così al 1700, periodo in cui, come se non bastasse il
proibizionismo già in atto, vengono pubblicati praticamente in tutto il canavese
i cosiddetti Bandi Campestri.
Riporto a puro titolo di esempio i sostanziali contenuti di uno di essi
e cioè quello emesso nel 1773 nel Valpergato, comprendente gli allora
territori di Valperga, Courgné, Salassa, San Ponzio, di Pertusio, di
Prascorfano, Pratiglione, di Sancolombano, di Sale di Canischio, lo
stesso Canischio, Camagna: "...Si prevede eguale pena sia per chi (senza
un' apposita licenza)
eserciti la cattura dei pesci, sia per chi pratichi la pesca dell'oro: quanto ritrovato e sequestrato andrà diviso a metà tra
denunciatore e fisco signorile: inoltre a quest'ultimo perverrà anche l'incasso
della pena pecuniaria" (che, aggiungo io, risulta molto elevata,
per di più se si pensa che si riferiva anche alla pesca
"di pesci":
dieci lire di allora!). |
Nel 1785 il Conte Balbo scrive nel suo "Memoire
sur le sable aurifère de l'Orco et des environs" i risultati di
una sua ricerca fatta l'anno precedente sui corsi d'acqua del Valpergato,
sulla destra dell'Orco informandoci così che secondo lui il nobile
metallo è presente in tutti i piccoli ruscelli che scendono dalla
collina di Belmonte, tra Valperga e Rivara. Egli afferma anche che
l'Orco ha oro solo a valle di Pont Canavese, e in particolare a valle di
Courgné. Balbo continua dicendo che il Malone è piuttosto ricco e che
le maggiori ricerche si fanno invece nei pressi di Valperga e di
Rivarolo (Orco) con ricavi solitamente minimi, ma ogni cercatore spera
in quella zona di trovar fortuna: egli parla infatti di grani d'oro
pesanti 5 denari e di uno pagato 100 lire trovati tra Valperga e
Pertusio, nelle sabbie aurifere del torrente Marquera. L'autore parla
anche dei metodi di
lavaggio del materiale cui ha personalmente assistito nella zona di
Pertusio (ricordo che siamo a fine 1700): dalla descrizione appare che
nel complesso si tratta del metodo tradizionale, pressoché identico fin
dal momento dell'assaggio, a quello usato ancor oggi dai "pescatori"
canavesani.
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Lo
sfruttamento industriale. Tra i primi ad interessarsi della
possibilità di coltivazione industriale delle alluvioni aurifere del Canavese fu l'inglese
John Marshal di Halifax, ma domiciliato a Cuorgné, che tra il 1867 e il 1875 chiese ed ottenne alcune
concessioni prefettizie per i torrenti Orco, Malone, Gallenca e Soana, dopo di aver ottenuto
alcuni consensi di proprietari terrieri ed aver depositato una congrua
somma per il risarcimento di eventuali danni. Secondo la Legge mineraria sarda del 1853 le
sabbie e le terre metallifere potevano infatti essere coltivate soltanto dal
proprietario del terreno o con il suo consenso (art. 130) e dopo averne data
comunicazione all'Intendente del Circondario (art, 131). D'altra parte la
stessa legge sanciva che "la ricerca o Pesca dell'oro" e di
altri metalli nelle "sabbie e terre depositate dai fiumi o
torrenti" era libera a tutti, previo osservanza delle leggi sulle
acque (art. 145): questo provocherà non poche complicazioni burocratiche e
conflitti di competenza, aggravati, negli anni successivi, dalle modifiche legislative
e amministrative del neonato Regno d'Italia.
Nel 1883 varie persone del posto ottennero analoghe autorizzazioni nei
dintorni di Castellamonte e, agli inizi del 1884, cominciarono ad interessarsene in
particolare lo svizzero George Perret, l'ing, Antonio Clement Rossi e
Giovanni Rocchetti che si accaparrarono il consenso di numerosi proprietari terrieri,
ottennero le autorizzazioni prefettizie per numerose località nei dintorni di
Castellamonte e di Rivara e promossero la costituzione di una "Societé
des placers aurifères de Castellamonte", alla quale trasferirono i diritti
acquisiti.
Successivamente, nel febbraio 1885, costituirono a Ginevra la SOCIETE' DES
PLACIERS AURIFERES DU PIEMONT, società a responsabilità limitata con capitale costituito da 50.000 parti senza valore determinato, delle quali
3600 rilasciate ai proprietari di parti della liquidanda società di
Castellamonte. Il 12 febbraio 1885 la nuova società, che aveva sede sociale a Ginevra e ufficio
amministrativo a Castellamonte, emise certificati di proprietà di una
parte, molto estetici, riportanti l'intero Statuto (di essi il Museo
dell'Oro possiede i numeri 29.946 e 30.364).
Intanto alcuni comuni proprietari di terreni lungo l'Orco, rifiutavano il
permesso di escavazione alla vecchia società mentre la nuova incontrava le prime
difficoltà per il trasferimento delle autorizzazioni da quella
ottenuta.
Nell'Assemblea Generale del 16 novembre 1885 a Ginevra, l'Amministratore
Gerente G. Perret avvertiva la necessità di trasformare la società in anonima con
un capitale determinato, possibilmente non inferiore ad un milione di franchi,
tale da poter rappresentare una garanzia morale di fronte alle pubbliche
amministrazioni italiane e ai proprietari dei terreni. Data
l’intrinseca difficoltà di rapportare le singole parti al capitale
sociale, specie in mancanza dei risultati di coltivazione, l’Assemblea
delegò il Comitato di Amministrazione a predisporre un piano di trasformazione, mentre approvava la proposta di affidare la
coltivazione di singole aree ad altre imprese, dietro corresponsione di una parte dell'oro
estratto: la società, che si autodefiniva "senza capitali", non era infatti in
grado di affrontare le spese di coltivazione in tutti i 100.000 ettari sui quali vantava
diritti di sfruttamento. Venne inoltre approvata l’istituzione di una sede amministrativa
a Torino, che sarà in Via Garibaldi 57.
Secondo le previsioni e gli accordi intercorsi con una impresa, agli inizi del
1886 venne impiantata nei pressi di San Benigno una prima draga galleggiante,
battezzata Regina Margherita. Costata complessivamente 120.000 lire, la draga
avrebbe dovuto trattare da 1500 a 2000 metri cubi di sedimento alluvionale al
giorno, al costo di 30 centesimi di lira al metro cubo comprensivo della mano
d’opera che, al tempo, si aggirava sulla Lira al giorno. Con i tenori medi
riconosciuti di 0,40-0,50 grammi d’oro, al prezzo di poco
più di 3 lire al grammo, l'operazione avrebbe quindi consentito di ottenere enormi utili. I dati
vennero
propagandati con enfasi e nell’agosto 1886 venne pubblicato a Torino, a cura del
Consiglio d’Amministrazione, l’opuscolo "Notices sur la Société des
Placers aurifères du Piémont" che, oltre allo Statuto, ad una carta del Canavese ed una
splendida litografia della draga, contiene notizie sulla società ed una tabella di
"probabilté de la valeur industrielle des parts sociales" basata sulla lavorazione, da parte di varie imprese, di 100.000 metri cubi al giorno, con tenori variabili da
0,20 a 0,54 grammi d’oro al metro cubo e l’introito netto da parte della
società di un quarto dell’oro estratto.
Assicuratasi l’assenso di 7736 proprietari terrieri in 31 diversi comuni, la
Società predispose ambiziosi progetti di rettificazione e arginatura dell’Orco, della
Dora e del Malone, cosa che avrebbe evitato i frequenti straripamenti e
consentito di bonificare estese porzioni di terreno ghiaioso. Su tale basi
chiese al Governo italiano un decreto di concessione esclusiva e la dichiarazione di opera di
pubblica utilità.
In realtà, come riferisce l'ingegnere capo del distretto Minerario di Torino
nella Relazione ufficiale, alla fine del 1886, "... questa draga,
dopo aver fatto parlare di sé assai e di aver servito ad esperimenti,
non entrò mai in continua funzione industriale...". Come tutte le prime
rudimentali draghe galleggianti, buone per le sabbie marine olandesi ma incapaci di operare in terreni alluvionali grossolani, la
draga si dimostro infatti incapace di operare nell’Orco, né servirono
a qualcosa le numerose modifiche a cui fu sottoposta. Nei brevi periodi
di lavoro riusciva a trattare al massimo 500 metri cubi di sedimento recuperando a mala
pena, con i grossi canali riempiti di mercurio, il 50 % dell’oro contenuto. Gli stessi tenori
risultarono alla fine inferiori alle previsioni non raggiungendo, in media, 0,20 grammi
d`oro al metro cubo.
L'insuccesso della prima draga, seguito dall’abbandono e dalle polemiche di
alcuni soci lionesi sul prestigioso giornale "Bourse Lyonnaise", che provocarono
l’interruzione delle trattative con una impresa Sokolowsky, non scoraggiarono
George Perret che attribuì tutte le colpe ai cattivi rapporti con la prima
impresa
con la quale la Società, "priva di capitali", non aveva potuto imporsi, e prese accordi
con altri imprenditori pronti ad assumersi tutti gli oneri dietro corresponsione di
un terzo dell’oro estratto.
Nell’Assemblea Generale del 22 dicembre 1886, a cui parteciparono 100 soci
per un totale di 45.707 parti, venne decisa, con la maggioranza di 36.260 voti
contro 9447 la liquidazione della Società svizzera e la costituzione di una nuova
società anonima francese con capitale di un milione di franchi, dando mandato
al Comitato di Amministrazione di operare la trasformazione. Il processo verbale
dell’Assemblea ginevrina, con altre notizie sull’operato in particolare del
Perret, venne pubblicato a Torino ai primi del 1887 in un opuscolo dal titolo:
"Rapport sur la tranformation de la Societé Suisse des Placers
Aurifères du Piemont en Societé anonime francaise".
Nel corso del 1887 venne varata nell’Orco un’altra draga, la più grossa della
nota Werf Conrad Limited di Londra e Haarlem (Olanda), ma anche questa diede pessimi risultati, specie per quanto riguarda il recupero dell’oro, tanto che
nel 1888 la Società dovette riprendere lo studio delle alluvioni per accertarne i
contenuti. La nuova società anonima francese venne comunque costituita nel
novembre 1888 presso il notaio Lefebvre a Parigi, dove si fissò la sede legale in Rue
de Provence 59. Il milione di franchi non venne però sottoscritto e ci si dovette
accontentare di un "capitale variabile non riducibile al di sotto
di 100.000 franchi, suddiviso in 50.000 parti con diritto all'80 % degli utili netti.
Il 29 novembre 1888 vennero emesse le nuove Parti di Fondatore, al portatore,
di colore verde, firmate, tra gli altri, dal solito Perret (il Museo
dell'Oro ne possiede numerosi esemplari e molti se ne trovano ancora in commercio, tutti con le 24
cedole al loro posto).
La draga continuava comunque a non dare alcun risultato e nel corso del 1889
i lavori vennero sospesi mentre si instaurava una controversia tra l’impresa e la
ditta costruttrice. Anche le nuove analisi eseguite dalla Società non furono
molto
incoraggianti: tra il 1888 e il 1889 erano infatti stati eseguiti 5 sondaggi con grossi
tubi spinti fino a profondità di 10 metri e riempiti di aria compressa per consentire
ad un operaio di prelevare campioni di "alluvione indisturbata", e di questi solo uno,
presso il ponte di Feletto, diede un qualche risultato utile, con una media di 0,388
grammi d'oro per metro cubo su una profondità totale di 6 metri e mezzo.
Alla fine del 1889 venne varata un’altra draga nei pressi di Chivasso, ma non
diede migliori risultati delle precedenti e la stessa amministrazione
mineraria dovette prendere atto che finché non si fossero messi meglio
a punto e risolti alcuni dei problemi meccanici sul quale si fonda tutto
il contesto, non sarebbe stato possibile ottenere degli
"utili" più significativi.
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NOTE
STORICHE DA DOCUMENTI MINERARI ANTICHI. Anno
1739. Lorenzo Colombo di Ceresole chiede di coltivare una miniera d'oro
e di argento da lui trovata nelle montagne di Noasca, in località
"la Rovina Nuova" (ossia Monpelor).
Nello stesso anno, Don
Michele Virando di Bonso chiede di poter coltivare la miniera di rame da
lui scoperta in Valle di Pont, località" Rosette". 1824:
una lettera dell'Azienda Economica dell'Interno, rivolta al primo
Segretario di Stato riporta notizie sulla presunta miniera d'oro La
Mionda, in territorio di Ronco, provincia d'Ivrea. 1310/1311:
in quegli anni furono riscossi 25 soldi, da uomini di Rivarossa e da
forestieri che raccolgono oro nel torrente Malone; nel periodo 1312/1316
furono riscossi invece da due a tre soldi all'anno; nel 1317 cinque
soldi (località Rivarossa), più dieci soldi per contravvenzione a
Jacopo della Perucca, che lo cavava senza licenza del castellano; 1318,
nessun introito dalla zona di Rivarossa perché non vi sono stati
cercatori, mentre tra il 1319 ed il 1327 la riscossione a Rivarossa ha
dato la media di venti soldi all'anno; 1929/1930, dodici soldi l'anno
(sempre per la contea di Rivarossa). 1339/1343:
Pietro Azario scrive (nel De bello canapiciano) che nell'Orco si cava
una grande quantità d'oro, e di averne visto un pezzo del valore di 16
fiorini (circa 40 grammi). 1791:
in quell'anno si menziona una miniera d'oro scoperta da Domenico Gianoli
a quattro miglia da Castellamonte. |
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