| |
Il
ritrovamento di sferule d’oro microscopiche o appena visibili, in
depositi alluvionali auriferi, non è evento raro, anzi sembrerebbe
piuttosto comune. Il problema riguarda la loro origine, sono naturali o
manufatti ? (DILABIO et AL. 1988).
La lunga
esperienza personale e la frequentazione dei laboratori orafi di Valenza
(Po) mi ha persuaso che è assolutamente impossibile impedire, nel corso
della fusione di oro minuto, che le sfere si formino e restino
intrappolate nella scoria di fusione, qualsiasi sia il fondente usato,
la miscela dei fondenti e le
quantità reciproche dei singoli componenti (borace, salnitro, soda,
etc.). Sappiamo
inoltre che se ne formano, in maggiore abbondanza, fondendo sottili
particelle d’oro in polvere di carbone. In tutti i casi, le scorie,
più o meno saponose, si sciolgono se lasciate in acqua, anche per brevi
periodi, ed è possibile recuperare le sferule liberate.
L’inevitabile
formazione di sferule d’oro nel corso della fusione di oro
alluvionale, e la possibilità di recuperarle facilmente dalla scoria,
quando abbondanti e ben visibili, potrebbe essere all’inizio della ben
nota oreficeria granulata, etrusca e non solo, che consente di
utilizzarle senza rifonderle.
Le sferule si
formano, in misura molto ridotta, anche nel corso della fusione di
minerali argentiferi e cupriferi che contengono poche tracce d’oro e,
in questo caso, la loro presenza, nella scoria, può passare
inosservata: esse vengono poi liberate nell’ambiente a seguito dell’abbandono
delle scorie e della loro inevitabile alterazione.
|
1 |
|
2 |
3 |
|
4 |
5 |
|
6 |
D’altra
parte, ne sono state trovate in depositi alluvionali di varie parti del
mondo, anche lontani da forme di civiltà, antiche o recenti, e in
livelli di alterazione superficiale di mineralizzazioni di vario tipo,
per cui gli Autori citati propendono per due possibili processi
formativi: per raffreddamento di materiale fuso o per precipitazione
chimica a bassa temperatura. In quest’ultimo caso sembra
indispensabile la presenza di ossidi di ferro e di manganese, che
agiscono da riducenti, e le sfere, che non presentano segni di
trasporto, sono confinate nelle piccole fratture superficiali di rocce
ricche di manganese. Nella maggior parte dei casi esaminati, le sfere
appaiono però essere il risultato di contaminazione per attività di
fusione e raffinazione in posto.
E tali sono
state considerate quelle da me inviate in Canada e gentilmente
analizzate nei laboratori del Servizio Geologico di Ottawa nel 1989, per
interessamento del dott. R. DiLabio. In particolare, le sfere prodotte
dalla fusione recente di oro alluvionale della Val Padana (camp. 1649 = 1)
mostrano una netta superficie a "microcristalliti"; tra di
esse vi sono anche granuli non perfettamente sferici, dovuti alla
pressione di granuli di magnetite,
zircone o monazite nel corso del raffreddamento: in qualche caso è
stato osservata la persistente aderenza di minerali pesanti a questi
granuli d’oro non sferici (camp. 1649-6 = 2).
Microcristalliti
superficiali, più o meno nette, sono state osservate anche in alcune
sfere del Fiora (camp. 1647 = 4),
non in tutte, ma, in questo caso, sono da considerare le possibili
trasformazioni dovute al trasporto e alla lunga permanenza in acqua: non
possono comunque essere confuse con granuli a spigoli arrotondati, pure
presenti (camp. 0000 = 3),
dovuti al rotolamento di cristalli o masserelle naturali. Una delle
sferule ha la forma di una goccia allungata (1647-19 = 5),
"…come se fosse colata in presenza d’aria quando ancora
fusa"; un’altra ha la forma di una pallottola (1647-33 = 6),
"…come se fosse stata schiacciata quando ancora soffice"
(com. pers. DiLabio).
Le analisi
chimiche mostrano una grande variabilità di composizione, con altissimi
tenori d’oro nelle parti superficiali di molti granuli: questo è
dovuto all’idrolizzazione di argento e rame contenuti in lega (o,
meglio, dei loro prodotti di ossidazione) nel corso della lunga
permanenza in acqua, fenomeno che interessa la parte più superficiale
delle sfere: infatti, nei due casi esaminati in dettaglio il contenuto
percentuale d’oro diminuisce nettamente passando dalla superficie (rim)
al nucleo (core).
Anche il
contenuto percentuale di mercurio,
negli stessi campioni, diminuisce nettamente dalla superficie al nucleo,
dove si mantiene in linea con quelli normalmente presenti nell’oro
naturale: questo supporta la convinzione che, contrariamente a quanto
ipotizzato dal mio interlocutore canadese, l’amalgamazione è solo
superficiale ed è dovuta a inquinamento successivo alla formazione
delle sferule; essa, infatti interessa talora anche i granuli naturali.
In ogni caso, l’eventuale applicazione del procedimento non potrebbe
risalire al "periodo etrusco di raffinazione" perché, come ho
ampiamente documentato (PIPINO 1994), il fenomeno dell’amalgamazione,
pur essendo noto nell’antichità e utilizzato per il recupero di
sottili manufatti d’oro e per l’indoratura
delle statue,
non risulta impiegato nello sfruttamento di depositi auriferi, e nemmeno
poteva esserlo. La formazione delle sferule, inoltre, non è
necessariamente dovuta ad attività metallurgiche antiche, ma potrebbe
risalire a quelle medievali o cinquecentesche. Anche l’elevato e
anomalo contenuto in rame, in alcune delle sferule, avvalora le ipotesi
di una loro genesi nel corso di attività fusorie del minerale
cuprifero. |
|
Giuseppe Pipino |
|
Torna
a inizio di questo vasto studio. |
|