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Consultando ampiamente i fondamentali scritti di A.
Roccati e di G. Cesti ho realizzato di mia mano questo "sunto"
che ha l'intenzione di rendere agibile e comprensibile l'argomento anche a
coloro che non hanno confidenza con la struttura della miniera e/o non
siano particolarmente interessati all'intera sua storia
"catastale".
Andando indietro nei tempi,
per quanto la tradizione locale faccia risalire a date molto remote la
prima coltivazione della miniera, questa in realtà dovrebbe
probabilmente datarsi nel periodo compreso tra la fine del 1700 e primi
anni del 1800 quando gli stessi proprietari del terreno, tali Giovanni Battista Nicolin
e Giovanni Antonio Rolland, si dedicarono personalmente alla cosa. A questi succedettero, con acquisto dei
terreni alle persone sopra indicate i signori Perron, Yon e Colombot, i
quali chiesero ed ottennero regolare
concessione per "miniera di
vetriolo di ferro" (acido
solforico) il 15 dicembre 1820, cosa
infatti documentata e dalla quale può proseguire la storia
"certa" del giacimento. Taluni invece suggeriscono l'ipotesi che
qualche lavoro in loco fosse già presente prima del 1752, anno questo
della pubblicazione di un saggio di Robilant in cui viene descritta una
certa "Cava di sant Antonio" che come localizzazione sembrerebbe
corrispondere abbastanza a quella di cui si parla. Risulta invece, secondo
esperti recatisi sul posto e che hanno confrontato questi lavori con reali
cantieri d'epoca romana posti altrove, assai improbabile che la miniera
risalga a tale epoca, sia per la metodica di ricerca che per i mezzi
probabilmente usati. I concessionari di cui si é accennato prima,
svilupparono per ottanta metri la galleria superiore detta
"romana" ed infine abbandonarono l'impresa dopo aver constatato
che l'estrazione della pirite non era più conveniente. In seguito si
succedettero vari concessionari, tutti per breve tempo (e la
"romana" forse già allora arrivò a 120 metri). Nel 1916 il permesso di ricerca fu
accordato al "Consorzio Agrario Cooperativo della Provincia di Novara
e della Lomellina" e fu per così dire la fortuna della miniera. il
Consorzio Agrario provvide subito ad ingrandire la piazzola dinanzi
all'unica galleria allora presente (se ne riconoscono ancor ora le tracce,
osservando il materiale pressato e limonitico sul bordo del torrente),
fece una rimonta che dall'interno della "romana" salisse
fino alla crosta morenica ed invece presso l'imbocco scavò un pozzo.
Siccome lungo il livello erano state individuate delle zone molto ricche
di Pirite (e lo spazio che li separava dalla superficie era troppo poco
per essere meritevolmente sfruttabile) era per loro evidente la necessità
di abbassarsi sperando di ritrovare anche più in basso zone ricche di
questo filone verticale. Fu così presa una decisione coraggiosa e venne iniziato un
Travers-bancs (Ribasso
Rizzotti) che dai piedi della cascata andasse a
cercare lo stesso filone un bel po' di metri più in basso. La cosa ebbe
buon esito ed il filone fu incontrato dopo 203 metri di galleria. Lì
venne seguito sia a destra che a sinistra e con una vasta rimonta portante
fino alla "romana". Poi si decise di scendere ancora e, dai
piedi del pozzo "Faà" il quale é situato in fondo al
travers-bancs, si fece una discenderia al termine della quale si scavò
una galleria "cieca" di ottantacinque metri. In questo modo
tutta la "dimensione verticale" del filone era esplorata : anche
tra il Rizzotti e la Romana, grazie alla rimonta di cui sopra, si poterono
fare due gallerie di direzione a quote differenti : in seguito seguirono
in quest' ultima zona degli sbancamenti talmente vasti che tutto quel che
ne rimane ora é un grande spazio verticale che collega il Rizzotti con la
Romana. Nel frattempo si era reso necessario tralasciare le modeste
officine esterne poste a monte della cascata e crearne invece di ben più
adeguate nei paraggi del Ribasso. Le costruzioni che qui vennero fatte a
quei tempi erano tutte in legno per cui oggigiorno sono
rimaste solamente le macerie delle parti in muratura. Dopo che il
"punto base" fu come appena detto spostato dalla sommità al
fondo della cascata si realizzò una stradina quasi orizzontale (pendenza
regolare del 1%1000) per binario con vagoncini che trasportavano il materiale uscente dal Ribasso Rizzotti (oramai
diventato una sorta di imbuto raccoglitore di tutto il cantiere) sino al
quarto tornante che si incontra oggigiorno risalendo la Val d'Ayas e
che é conosciuto come "località Chavascon":
in detto punto é infatti ancor oggi ben riconoscibile una piazzola con
tramoggia che trasferiva il minerale su carri destinati a Verres.
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