| |
Alcuni
appunti disimpegnati sulla situazione aurifera nel Mondo. |
Da
"Gente Viaggi” un articolo del 1985. Testi di Massimo Todisco e foto di
Massimo ed Enrico Todisco, qui da me riordinato secondo le esigenze
del sito.
|
|
Approfondimenti
di questa pagina |
|
|
|
|
Pagina
che ho
preparato con l'ing. Cazzulani
Gabriele.
|
|
|
|
|
"La corsa all’oro non è finita; d’oro nel Klondike
ce n’é ancora, e io so dove. Scavo fra i mucchi di pietre e i resti delle antiche miniere, là dove i
nostri vecchi, un tempo, hanno cercato". Sessant’anni, capelli bianchi e
vivi, le mani
consumate e dure di chi scava da sempre: a parlare è Toni
Kosuta, uno degli ultimi cercatori di Dawson City, nello Yukon, la regione
del Nord America in cui Jack London ambientò i suoi celebri romanzi. Giunse in Canada nel 1951, veniva da
Gorizia per fare il muratore. Lavoro nelle ferrovie a Jasper fino al giorno in
cui gli parlarono dell’oro, della Bonanza, di Dawson. Nel 1954 già a sudare in una miniera della Yukon
Gold Corporation Company. Ma nel 1966 il prezzo dell’oro crollò a 35
dollari l’oncia, molte compagnie chiusero i battenti. "Non mi diedi per vinto", racconta Toni,
"e quando tutti abbandonarono le miniere io decisi di restare
prendendo in affitto 20 clains di terra a 10
dollari ciascuno". Un clain é un appezzamento che, a partire
dal fiume, si stende in profondità per 500 piedi e in larghezza per 1000
piedi su ciascun lato.
E' una strada polverosa, stretta, tutta curve a
condurmi da Toni, in Bonanza, una piccola valle 30 km a sud di Dawson
City. Ovunque mucchi di pietre al posto dei pini e degli abeti. Qua e là
i resti delle antiche miniere, draghe di legno galleggianti nelle pozze d’acqua,
rudimentali scavatrici ormai arrugginite, abbandonate fra i sassi, pali di
legno fradicio, ultime testimonianze della "grande febbre". Poi la strada diventa
sentiero, ecco un ruscello, un piccolo ponte, un
cartello che recita "solo per auto".
Guadiamo il ruscello col camper, affondando nel fango. Toni è ad attenderci nella sua piccola casa di
legno, costruita assieme alla moglie Vittoria, friulana anche lei, ai figli
David e Vincenzo. E' qui che vive dai primi di maggio al 15 ottobre di ogni
anno; d’inverno, quando tutto gela e le ricerche sono sospese, si trasferisce
a Dawson City.
La miniera si trova
sul greto del Bonanza Creek, il cui letto é quasi asciutto; oggi l’oro non si
trova più nell’alveo come un tempo, e si deve scavare nelle rocce circostanti.
Certo oggi non si usano più picconi e pale: Toni si é costruito una
macchina formata da una specie di ponte inclinato e da un nastro a maglie di
ferro, su cui l’acqua viene convogliata da una pompa meccanica. Sul ponte,
acqua e terra si mescolano, sassi e terra scivolano
sulle maglie del tappeto, che trattiene pagliuzze e piccole pepite
d’oro, mescolate al fango. Il lavoro prosegue poi tutto a mano: con una
sorta di padella di ferro, il "pan", Toni setaccia la poltiglia
raccolta sino a che nella padella non resta che lucido oro. Il prezioso
metallo viene infine fuso in piccoli lingotti che saranno venduti a Dawson.
"Centomila dollari l’anno mi rende la miniera (circa 8000 euro
odierni al mese, nel 2012:), ma é un lavoro duro, senza
sosta, che si protrae per più di 14 ore al giorno, per cinque mesi
l’anno".
A Dawson, sono
più di 80 le famiglie che possiedono una miniera, da quando nel 1978 il
prezzo dell’oro ha subito un brusco rialzo toccando gli 800 dollari
all’oncia. Sono canadesi, americani, anche tedeschi, francesi, svizzeri,
svedesi. E' sorta pure una piccola compagnia, la Staker Resources Queew’s
che impiega 75 persone ed estrae 10.000 once di metallo l’anno.
|
Dawson oggi conta poco meno di 1000 abitanti: il 50% della popolazione
vive ancora dell’oro, l’altra metà inveve lavora per il governo, per
riadattare le vecchie case di un tempo, di quando la città contava oltre
40.000 abitanti,
oppure per realizzare opere
di contenimento lungo lo Yukon River, che spesso inonda parte dell'abitato.
Anche John
Gould, un signore distinto, sessantenne, ben lontano dal cliché classico del
cercatore d’oro, ha la sua miniera. Lui é nato qui; suo padre, nel
1901, arrivò dalla Scozia nel Sud del Canada, lavorando dapprima nelle
grandi fattorie. |
Toni Kosuta
mostra alcune pepite d’oro trovate nei suoi "clains," appezzamenti di
terreno aurifero. La miniera gli rende centomila dollari l’anno (circa
180 milioni di lire), ma é un lavoro duro che si protrae per circa 14
ore al giomo per cinque mesi l’anno, da maggio a ottobre. |
Poi, come Toni, si spinse verso ovest,
giunse a Skagway, salì fino a Whitchorsc e in due settimane, in zattera
sullo Yukon River, approdò a Dawson. Oggi John continua il mestiere del
padre, estraendo ogni anno dalla sua piccola miniera più di 300 once
d’oro. "Da sette anni", dice, "qui c’é lavoro per noi cercatori, ma questo é un settore
in cui diventa rischiosissimo investire. Attualmente, un’oncia d’oro vale 340
dollari e ripaga la fatica e il denaro impiegati nella ricerca; ma se il
prezzo dovesse calare, saremmo tutti costretti a chiudere". Anche John, come
Toni, lavora d’estate per cinque mesi. Gli chiedo come mai le sue mani non
sono nere e callose come quelle di Toni Kosuta. "Lui lavora molto più di me", mi risponde, "per lui l’oro é
più che un lavoro: é una passione come per i vecchi cercatori". Abbiamo cosi scoperto che Toni é uno degli
ultimi pionieri dell’epoca moderna, ed é con lui che ci rechiamo nella vecchia
Dawson (continua a lato pag.) |
|