Sito di Zappetta Gialla sull'Oro.

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Articoli sui giornali

 

 

pubblicazione di Miniere d'Oro(2003) web.tiscali.it/minieredoro(2004) www.minieredoro(2006 / 2023)

 

 

Pagina della sezione Ovadese oro nei fiumi.  Vedi le miniere di questo distretto

 

FONTI GIORNALISTICHE SULL'ORO IN VAL D'ORBA E VAL GORZENTE.

 

                                                                                                 

All'origine della passione dei genovesi per le pepite d'oro, raccontano gli annali, una scoperta eccezionale fatta quasi per caso più di un secolo fa a Monte Loreto,

presso Castiglione Chiavarese. Qui venne alla luce la mitica pepita "Eldorado", ottocento grammi di metallo prezioso puro che fece scalpore e scatenò ai tempi una febbre dell'oro fino allora senza precedenti.

Ma la storie dei cercatori d'oro della Liguria, così simili almeno nella loro iconografia fatta di cappelloni di feltro e batea, sudore e lavoro duro, illusione e speranza, a quelle del mitico Klondike americano, non mancano di certo. D'altra parte, fino al primo ventennio del 1800, proprio i giacimenti auriferi presenti nella zona dei laghi del Gorzente furono sfruttati industrialmente da società inglesi e francesi. Ma a dire stop alle ricerche fu, già dalla seconda metà dell'ottocento, la caduta verticale dell'oro sul mercato e, nella maggior parte dei casi, l'esaurimento progressivo delle vene aurifere più sfruttate.

Ma dove si trova l'oro a Genova e dintorni? "Un po' ovunque - spiegano al Museo di Storia Naturale di via Brigate Liguria - anche se non certo in quantità industriale. Ma vista la quotazione attuale dell'oro anche i piccoli ritrovamenti potrebbero farsi interessanti".

E allora via libera alla ricerca, tra le acque basse e le sabbie del torrente Gorzente, del Lavagnina, dell'Erro, dello Stura, dell'Orba, del Leone, del Quiliano e del Letimbro: tutti corsi d'acqua dove la presenza delle preziose pagliuzze è stata segnalata anche in tempi recenti. Per chi volesse cimentarsi in quella che potrebbe essere una piacevole avventura, due sono gli oggetti assolutamente indispensabili: la "batea", sorta di padella o piccolo catino che serve a separare l'oro dalla sabbia, ed un bottiglino pieno d'acqua dove riporre le pagliuzze appena trovate. Fondamentale poi tanta pazienza e, vista la durezza del lavoro, una buona propensione alla fatica. 

su Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L. Ar.

                     

 
 

Una pepita d'oro grossa come due capocchie di fiammifero e

del rispettabile peso di quasi un grammo. L'ha trovata martedì mattina Marina Giordano, un'infermiera trentasettenne di Sampierdarena durante una gita ai laghi del Gorzente. Tutto è successo per caso. La donna stava rovistando sovrapensiero nel fondo sabbioso di un piccolo ruscelletto sull'altopiano dei laghi del Gorzente. E in mezzo alla sabbia, tra le acque limpide e fredde, ecco, del tutto inaspettata, una pietruzza dorata: "Mi ha incuriosito perché brillava - ha spiegato la fortunata "cercatrice" - ci ho giocherellato un po' e poi ho chiamato mio marito e gli ho fatto vedere quello strano sassolino. Oro macché, subito pensavamo che fosse un pezzettino di pirite o qualche altro minerale. Ma il dubbio rimaneva. Così siamo passati a farlo vedere al museo di mineralogia di Campomorone. E quando ci hanno detto di cosa si trattava ci siamo morsi le dita: magari guardando un po' meglio ne avremmo trovato dell'altro." La successiva consulenza data da un amico gioielliere ha poi fugato ogni dubbio: non solo si tratta di Oro, ma la percentuale di minerale racchiusa nella pietruzza si avvicina al novanta per cento. "Vorrà dire - prova a scherzare la fortunata infermiera - che sabato e domenica, appena finito di lavorare, io e mio marito torneremo al ruscello per provare a fare il bis".

Ma è bastato che si spargesse la voce per far partire la corsa all'oro. E sull'altopiano del Gorzente, tra decine di corsi d'acqua stagionali che spesso non hanno neppure un nome, sono apparsi i primi cercatori con tanto di setaccio e "batea", la tipica padellona che serve a separare pagliuzze e pepite dalla sabbia. Che nelle acque dei fiumi della zona esistesse l'oro, comunque, non è certo una novità: "le pepite nei torrenti del gorzente - spiega Nino Sanfilippo, consulente di mineralogia al Museo di Storia Naturale di Genova - ci sono sempre state e ancora ora si possono osservare dei mucchietti di rocce accatastate sulle sponde dei ruscelli che sono i resti delle lavature fatte dai cercatori medioevali saliti quassù in cerca di fortuna. E, d'altra parte, nei vicini corsi d'acqua dell'Ovadese oggigiorno si organizzano addirittura campionati nazionali per appassionati".

su Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L. Ar.

 

 

 

"Oro nei fiumi dell'entroterra genovese? Ce n'è a volontà Basta cercarlo". Il ritrovamento di una pepita in uno dei torrentelli sull'altopiano dei laghi del Gorzente non sembra turbare più di tanto gli esperti di mineralogia dell'Università di Genova. Anzi. Come spiega il professor Luciano Cortesogno rappresenta solo un'ulteriore conferma a quanto già si sapeva. "Pepite e pagliuzze abbondano tra le acque dell'hinterland - dice - Paradossalmente se uno non sapesse cosa fare nella vita potrebbe armarsi di Batea e fare il cercatore d'oro di professione, magari non diventerebbe ricco, ma ne ricaverebbe quasi sicuramente di ché mangiare tutti i giorni". Ad appoggiare quest'ipotesi suggestiva - continua il professor Cortesogno - esistono anche i risultati di una ricerca realizzata in Liguria a metà degli anni Settanta: "allora si era calcolato - spiega ancora - che un cercatore, lavorando a pieno ritmo tutto il giorno, poteva guadagnare oltre diecimila lire al giorno. Quasi cinquantamila d'oggi (nota di zappetta gialla: i cinquantamila si riferiscono ovviamente alla data in cui fu pubblicato questo articolo e cioè ultimi anni dello scorso millennio) ". Non male, anche per un lavoro duro e senza orari come quello di chi va a caccia di pepite. All'origine della presenza di oro puro nei ruscelli dell'entroterra genovese, uno dei grandi sconvolgimenti geologici del passato. Tutto è iniziato nell'oligocene medio inferiore, trenta milioni di anni fa, quando nello spesso strato di rocce ofiolitiche del sottosuolo si aprirono lunghe fratture: "E lungo queste vie - continua Cortesogno - ci fu una risalita di acque termali ricche di minerali che, evaporando, lasciarono depositi ricchi di quarzi, piriti e piriti aurifere. Quando una di queste vene viene messa allo scoperto a causa dell'erosione delle acque di superficie, il quarzo e la pirite si trasformano in sabbia, mentre le pagliuzze e le pepite d'oro si liberano nell'acqua". Particolarmente ricca di oro, come confermano i numerosi ritrovamenti documentati, la zona dell'ovadese: "Ma anche al Gorzente il prezioso metallo non dovrebbe mancare - conclude l'esperto - La divisione amministrativa non rispecchia quella geologica e fra le due zone, dal punto di vista del sottosuolo, non esistono grosse differenze sostanziali". 

 

                                 su Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L. Ar.

 
 
 

Un ferragosto da cercatori d'oro. In oltre duemila, favoriti anche dalla splendida giornata di sole, hanno preso letteralmente d'assalto i fiumi e i torrenti dell'alta Valpolcevera alla ricerca di qualche pagliuzza con cui stuzzicare l'invidia, al ritorno in città, di amici e colleghi di lavoro. Non c'è stato corso d'acqua, al Gorzente e dintorni, che non sia stato passato al setaccio da impiegati, studenti, massaie e liberi professionisti, trasformati in accaniti cercatori di pepite. La febbre dell'oro, insomma, sembra aver contagiato un pò tutti e non manca chi, a fine giornata, ha fatto ritorno a casa portando con sé qualche piacevole souvenir di metallo prezioso. Protagonista indiscussa di questo ferragosto in Valpolcevera, quindi, la "batea", la caratteristica padella che serve a separare pepite e pagliuzze d'oro dalla sabbia e dal fango. E accanto a quelle semiprofessionali degli "habitués" del setaccio anche quelle "di fortuna" di chi ha voluto provare l'emozione della caccia all'ultima pepita.

 

su Il Secolo XIX, 17 8, 1992

 

 

 

Genova. Pepite d'oro nei fiumi del Tigullio. La notizia si è diffusa in un battibaleno e, già ieri pomeriggio, decine di improvvisati cercatori del prezioso metallo - armati di pala e setaccio - hanno cominciato a perlustrare i corsi d'acqua della zona. Sembra una "febbre dell'oro" in piena regola che si ripete, a distanza di qualche anno, dopo la diffusione della notizia-bomba da parte del tg regionale. Tutto comincia il giovedì della settimana scorsa, a Rapallo, quando un uomo distinto, sulla quarantina, si presenta in un laboratorio d'oreficeria di via Magenta, la stradina di fronte al palazzo comunale. Racconta l'episodio Edoardo Mariani, milanese, titolare del negozio artigiano: "Quello sconosciuto à estratto dalla tasca del giubbotto un pezzo di carta dentro al quale c'era un frammento di metallo giallo, tondeggiante e bitorzoluto. Mi ha chiesto se potevo analizzarglielo: era oro, non ho avuto il minimo dubbio. Era una pepita d'oro quasi puro, all'incirca 16-17 carati, per tre grammi di peso e due centimetri di circonferenza. Alla prova del reagente il colore è rimasto costante". 

Il parere dell'orafo, evidentemente, soddisfa l'anonimo possessore della pepita, che promette: "Ho raccolto altri tre frammenti uguali in un fiume della zona. Tornerò qui per farli analizzare e per venderli". Ma il cercatore d'oro ancora non si è fatto vivo. Ieri, però, qualcuno ha diffuso la notizia (forse lo stesso sconosciuto) e, per tutta la giornata, Edoardo Mariani è stato preso d'assalto da cronisti, fotografi e operatori televisivi. Qualcuno ha anche chiesto di mostrargli il pezzetto d'oro, ma l'orafo ha replicato: "Magari l'avessi io, lo comprerei immediatamente. Quella pepita proveniva certamente dal greto di un fiume". Così, sparsasi al voce, è scoppiata la febbre dell'oro. E già qualcuno è stato visto col naso all'ingiù sul greto dei fiumi della zona.

                                                                1994, articolo di Umberto Gambino

 

 

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