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della sezione Ovadese
oro nei fiumi. Vedi
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FONTI GIORNALISTICHE
SULL'ORO IN VAL D'ORBA E VAL GORZENTE.
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All'origine della passione dei genovesi per le pepite
d'oro, raccontano gli annali, una scoperta eccezionale fatta quasi
per caso più di un secolo fa a Monte Loreto,
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presso Castiglione
Chiavarese. Qui venne alla luce la mitica pepita
"Eldorado", ottocento grammi di metallo
prezioso puro che fece scalpore e scatenò ai tempi una febbre dell'oro
fino allora senza
precedenti. |
Ma la storie dei cercatori
d'oro della Liguria, così simili almeno nella loro iconografia fatta di
cappelloni di feltro e batea, sudore e lavoro duro, illusione e speranza,
a quelle del mitico Klondike americano, non mancano di certo. D'altra parte, fino al primo
ventennio del 1800, proprio i giacimenti auriferi presenti
nella zona dei laghi del Gorzente furono sfruttati industrialmente da
società inglesi e francesi. Ma a dire stop alle ricerche fu, già dalla
seconda metà dell'ottocento, la caduta verticale dell'oro sul mercato
e, nella maggior parte dei casi, l'esaurimento progressivo delle vene
aurifere più sfruttate.
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Ma dove si trova
l'oro a Genova e dintorni? "Un po' ovunque - spiegano al Museo di
Storia Naturale di via Brigate Liguria - anche se non certo in quantità
industriale. Ma vista la quotazione attuale dell'oro anche i piccoli
ritrovamenti potrebbero farsi interessanti".
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E allora via libera
alla ricerca, tra le acque basse e le sabbie del torrente Gorzente, del
Lavagnina, dell'Erro, dello Stura, dell'Orba, del Leone,
del Quiliano e del Letimbro: tutti corsi d'acqua dove la presenza delle
preziose pagliuzze è stata segnalata anche in tempi recenti. Per chi volesse cimentarsi in quella che potrebbe essere una
piacevole avventura, due sono gli oggetti assolutamente indispensabili:
la "batea", sorta di padella o piccolo catino che serve a
separare l'oro dalla sabbia, ed un bottiglino pieno d'acqua dove riporre
le pagliuzze appena trovate. Fondamentale poi tanta pazienza e, vista la
durezza del lavoro, una buona propensione alla fatica.
su
Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L. Ar. |
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Una
pepita d'oro grossa come due capocchie di fiammifero e |
del
rispettabile
peso di quasi un grammo. L'ha trovata martedì mattina Marina Giordano,
un'infermiera trentasettenne di Sampierdarena durante una gita ai laghi
del Gorzente. Tutto è successo per caso. La donna stava rovistando
sovrapensiero nel fondo sabbioso di un piccolo ruscelletto
sull'altopiano dei laghi del Gorzente. E in mezzo alla sabbia, tra le
acque limpide e fredde, ecco, del tutto inaspettata, una pietruzza
dorata: "Mi ha incuriosito perché brillava - ha spiegato la
fortunata "cercatrice" - ci ho giocherellato un po' e poi ho
chiamato mio marito e gli ho fatto vedere quello strano sassolino. Oro
macché, subito pensavamo che fosse un pezzettino di pirite o qualche
altro minerale. Ma il dubbio rimaneva. Così siamo passati a farlo
vedere al museo di mineralogia di Campomorone. E quando ci hanno detto
di cosa si trattava ci siamo morsi le dita: magari guardando un po' meglio ne avremmo trovato dell'altro." La successiva consulenza
data da un amico gioielliere ha poi fugato ogni dubbio: non solo si
tratta di Oro, ma la percentuale di minerale racchiusa nella pietruzza
si avvicina al novanta per cento. "Vorrà dire - prova a scherzare
la fortunata infermiera - che sabato e domenica, appena finito di
lavorare, io e mio marito torneremo al ruscello per provare a fare il
bis". |
Ma è bastato che si spargesse la voce per far
partire la corsa all'oro. E sull'altopiano del Gorzente, tra decine di
corsi d'acqua stagionali che spesso non hanno neppure un nome, sono
apparsi i primi cercatori con tanto di setaccio e "batea", la
tipica padellona che serve a separare pagliuzze e pepite dalla sabbia.
Che nelle acque dei fiumi della zona esistesse l'oro, comunque, non è
certo una novità: "le pepite nei torrenti del gorzente - spiega
Nino Sanfilippo, consulente di mineralogia al Museo di Storia Naturale
di Genova - ci sono sempre state e ancora ora si possono osservare dei
mucchietti di rocce accatastate sulle sponde dei ruscelli che sono i resti
delle lavature fatte dai cercatori medioevali saliti quassù in cerca di
fortuna. E, d'altra parte, nei vicini corsi d'acqua dell'Ovadese
oggigiorno si
organizzano addirittura campionati nazionali per appassionati". |
su Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L.
Ar. |
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"Oro
nei fiumi dell'entroterra genovese? Ce n'è a volontà Basta
cercarlo". Il ritrovamento di una pepita in uno dei torrentelli
sull'altopiano dei laghi del Gorzente non sembra turbare più di tanto
gli esperti di mineralogia dell'Università di Genova. Anzi. Come spiega
il professor Luciano Cortesogno rappresenta solo un'ulteriore conferma a
quanto già si sapeva. "Pepite e pagliuzze abbondano tra le acque
dell'hinterland - dice - Paradossalmente se uno non sapesse cosa fare
nella vita potrebbe armarsi di Batea e fare il cercatore d'oro di
professione, magari non diventerebbe ricco, ma ne ricaverebbe quasi
sicuramente di ché mangiare tutti i giorni". Ad appoggiare
quest'ipotesi suggestiva - continua il professor Cortesogno - esistono
anche i risultati di una ricerca realizzata in Liguria a metà degli
anni Settanta: "allora si era calcolato - spiega ancora - che un
cercatore, lavorando a pieno ritmo tutto il giorno, poteva guadagnare
oltre diecimila lire al giorno. Quasi cinquantamila d'oggi (nota
di zappetta gialla: i cinquantamila si riferiscono ovviamente alla data
in cui fu pubblicato questo articolo e cioè ultimi anni dello scorso
millennio) ". Non male, anche per un lavoro duro e senza orari come quello
di chi va a caccia di pepite. All'origine della presenza di oro puro nei
ruscelli dell'entroterra genovese, uno dei grandi sconvolgimenti
geologici del passato. Tutto è iniziato nell'oligocene medio inferiore,
trenta milioni di anni fa, quando nello spesso strato di rocce ofiolitiche del sottosuolo si aprirono lunghe fratture: "E lungo
queste vie - continua Cortesogno - ci fu una risalita di acque termali
ricche di minerali che, evaporando, lasciarono depositi ricchi di
quarzi, piriti e piriti aurifere. Quando una di queste vene viene messa
allo scoperto a causa dell'erosione delle acque di superficie, il quarzo
e la pirite si trasformano in sabbia, mentre le pagliuzze e le pepite
d'oro si liberano nell'acqua". Particolarmente ricca di oro, come
confermano i numerosi ritrovamenti documentati, la zona dell'ovadese:
"Ma anche al Gorzente il prezioso metallo non dovrebbe mancare -
conclude l'esperto - La divisione amministrativa non rispecchia quella
geologica e fra le due zone, dal punto di vista del sottosuolo, non
esistono grosse differenze sostanziali". |
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su Il Secolo XIX, 14 Agosto 1992, articolo firmato L. Ar. |
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Un
ferragosto da cercatori d'oro. In oltre duemila, favoriti anche dalla
splendida giornata di sole, hanno preso letteralmente d'assalto i fiumi
e i torrenti dell'alta Valpolcevera alla ricerca di qualche pagliuzza
con cui stuzzicare l'invidia, al ritorno in città, di amici e colleghi
di lavoro. Non c'è stato corso d'acqua, al Gorzente e dintorni, che non
sia stato passato al setaccio da impiegati, studenti, massaie e liberi
professionisti, trasformati in accaniti cercatori di pepite. La febbre
dell'oro, insomma, sembra aver contagiato un pò tutti e non manca chi,
a fine giornata, ha fatto ritorno a casa portando con sé qualche
piacevole souvenir di metallo prezioso. Protagonista indiscussa di
questo ferragosto in Valpolcevera, quindi, la "batea", la
caratteristica padella che serve a separare pepite e pagliuzze d'oro
dalla sabbia e dal fango. E accanto a quelle semiprofessionali degli
"habitués" del setaccio anche quelle "di fortuna"
di chi ha voluto provare l'emozione della caccia all'ultima pepita.
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su Il Secolo XIX, 17 8, 1992 |
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Genova.
Pepite d'oro nei fiumi del Tigullio. La notizia si è diffusa in un
battibaleno e, già ieri pomeriggio, decine di improvvisati cercatori
del prezioso metallo - armati di pala e setaccio - hanno cominciato a
perlustrare i corsi d'acqua della zona. Sembra una "febbre
dell'oro" in piena regola che si ripete, a distanza di qualche
anno, dopo la diffusione della notizia-bomba da parte del tg regionale.
Tutto comincia il giovedì della settimana scorsa, a Rapallo, quando un
uomo distinto, sulla quarantina, si presenta in un laboratorio
d'oreficeria di via Magenta, la stradina di fronte al palazzo comunale.
Racconta l'episodio Edoardo Mariani, milanese, titolare del negozio
artigiano: "Quello sconosciuto à estratto dalla tasca del
giubbotto un pezzo di carta dentro al quale c'era un frammento di
metallo giallo, tondeggiante e bitorzoluto. Mi ha chiesto se potevo
analizzarglielo: era oro, non ho avuto il minimo dubbio. Era una pepita
d'oro quasi puro, all'incirca 16-17 carati, per tre grammi di peso e due
centimetri di circonferenza. Alla prova del reagente il colore è
rimasto costante".
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Il parere dell'orafo, evidentemente, soddisfa
l'anonimo possessore della pepita, che promette: "Ho raccolto altri
tre frammenti uguali in un fiume della zona. Tornerò qui per farli
analizzare e per venderli". Ma il cercatore d'oro ancora non si è
fatto vivo. Ieri, però, qualcuno ha diffuso la notizia (forse lo stesso
sconosciuto) e, per tutta la giornata, Edoardo Mariani è stato preso
d'assalto da cronisti, fotografi e operatori televisivi. Qualcuno ha
anche chiesto di mostrargli il pezzetto d'oro, ma l'orafo ha replicato:
"Magari l'avessi io, lo comprerei immediatamente. Quella pepita
proveniva certamente dal greto di un fiume". Così, sparsasi al
voce, è scoppiata la febbre dell'oro. E già qualcuno è stato visto
col naso all'ingiù sul greto dei fiumi della zona.
1994, articolo di Umberto Gambino
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