Quanto
segue è parte di un articolo (Gente Viaggi”, 1985, testi di Lucio
Valetti e foto di Guido Alberto Rossi), da me riordinato secondo le
esigenze del sito.
|
|
|
Pagina che ho preparato con
l'ing. Cazzulani
Gabriele. |
|
|
|
Nella parte sud-occidentale della Western Australia, a 800 km. da
Perth, si trova il paese della grande corsa all’oro: poche decine di chilometri quadri che alla fine del secolo scorso videro scatenarsi una
" bagarre" seconda solo a quella mitica del
Klondike. Vi arrivarono
avventurieri e cercatori da tutto il mondo. Il "golden mile", il miglio
più ricco di tutta la Terra, si trova infatti proprio qui, vicino a una città chiamata Kalgoorlie che ancora oggi ha l’aspetto di un burbero,
ma suggestivo villaggio di frontiera. Mi si appannano gli occhiali, all’ottavo livello. Troppa umidità. Siamo troppo in basso. L’acqua viene fuori a sudori dalle pareti lisce della galleria e
va a sospendersi nell’aria. Fa abbassare la temperatura, bagna i polmoni. Oggi la respirano i turisti per la mezz’ora, l’ora della visita organizzata. Una volta la respiravano per trent’anni,
quarant'anni, quando riuscivano a resistere, i miners, i minatori. Qualche centinaio di metri sopra c’è la polvere surriscaldata di una terra ruvida e
secca. Si brucia, là sopra, qui dentro si sta al fresco, si sta bene. Per mezz’ora.
<<Attenzione!>>, dice Ian Moffat e imbraccia un martello pneumatico. Preme un bottone, comincia a sobbalzare, i timpani di tutti hanno un contraccolpo. Un conto é sentire il
"ta-ta-ta-ta" furibondo in un cantiere stradale all’aria aperta, un altro conto é trovarsi rinchiusi con il rumore in un budello di un
paio di metri.
La galleria si squassa, il frastuono fa vibrare lo stomaco, i colpi sono martellate nella roccia
e
martellate nella testa. La punta di metallo spacca la parete a fatica. Brandelli di pietra rotolano a terra. Una polvere fine fluttua nell’umido. Gli echi sono
assordanti. Trema anche la luce delle lampade. Ma il trambusto dura poco, perché i timpani dei visitatori non sono assicurati e perché
Ian ha bisogno di quella parete per altre cento, mille dimostrazioni, come un maestro di una lavagna di grafite nera. Deve sforacchiare
con cautela questo
ventricoletto secondario del golden heart, il cuore d’oro dell’Australia.
|
|
|
|
Anche l’Australia ha una bella, feroce, gloriosa, affascinante, selvaggia corsa all’oro da ricordare e
mitizzare. La seconda per importanza al mondo, si dice, dopo quella del
Klondike, in America. Con le sue
schiere di eroi, di luoghi comuni e anche di verità. Si visita queste miniere con un sentimento romantico, a volte religioso. Il martello pneumatico di
Ian è una reliquia, e Ian stesso lo è.
Il Gold Rush Country, il paese della grande corsa all’oro, è appena dietro l’angolo sudovest dell’Australia.
Appena all’interno. Cioè a 500 miglia da Perth, sulla costa ovest e a 350 miglia da
Esperance: sulla costa sud, 800 e 550 chilometri, rispettivamente. Pochi in questo continente che è spaventosamente grande e non ha niente dentro. Se andiamo da Milano e puntiamo a nord per 800 km,
incontriamo una pianura verde, e poi colline, montagne medie, montagne più alte, un Paese che parla un’altra lingua, altri Paesi con lingue ancora diverse, paesaggi
e situazioni che fanno la distanza. E invece ero arrivato qui a
Kalgoorlie (foto in basso), nella città simbolo del golden heart australiano, con una highway, la numero 94, che va diritta e determinata, semplicemente nel vuoto. Viaggiavo ed era come se fossi sospeso sul niente. Scorrevano le miglia e non scorreva il tempo.
"Nullarbor Plain" chiamano la spianata piatta e pelata che comincia appena a est di
Kalgoorlie. Non vuol dire deserto, che è un concetto più complesso, che è una terra che nasconde una storia, anche se tragica, dietro.
"Nullarbor", semplicemente una terra senza alberi, né erba. Cioé il vuoto. Per questo un chilometro non è lungo come un chilometro, in Australia. Ma molto meno.
Kalgoorlie (e anche Perth, Esperance, il "Nullarbor Plain") è dentro il gigantesco rettangolo dello Stato che si chiama Western Australia, l’Australia dell’0vest. Sono 2 milioni e mezzo di kmq di superficie (vuol dire più di
otto volte l’Italia), un terzo di tutta l’Australia, con uno sviluppo costiero di 12.500 km sull’oceano Indiano e
dove vagano solitarie un milione e mezzo di persone di cui
circa 700.000 lavorano, circa 60.000 sono disoccupate, il resto sono bambini e pensionati. I più abitano lungo la
costa, molti sono sperduti in isolate, gigantesche fattorie, 20.000 circa lavorano nella zona delle miniere. In tranquillità
perché le follie dell’eccitante corsa all’oro sono finite gia da un pezzo.
Nel rettangolone piatto della "W.A." non accade mai niente. Così basta che a Perth una barca miliardaria
vinca una regata certo importante, ma pur sempre una regata, come l’Amcrica’s
Cup, che sulle targhe delle automobili si scolpisce indelebilmente l’evento. Non so che motto ci fosse inciso prima: dal 1983 il
"W.A." è diventato "The home of the America’s Cup". Anche se ormai la Cup é tornata ai vccchi proprietari, gli americani. Nella giovane Australia anche una regata serve per segnare l'inizio di una nuova era.
|
|
L’ascensore a gabbia, stretto e scricchiolante, scarica una piccola orda di bambini, tutti definitivamente
australiani della terza generazione, tutti con l’elmetto protettivo di plastica gialla, mentre Ian Moffat spiega come fosse esaltante e feroce la condizione di
miner. <<Si entrava al mattino, si usciva la sera. Il giorno non
si vedeva mai>>. In questa stessa miniera, che si chiama Hainault, Gold Mine,
Moffat, il
miner ha lavorato per mezza vita. Poi ha affittato questo livello della
Hainault che sarebbe un "piano", uno dei tanti in cui è divisa la miniera partendo dalla
superficie e scendendo sempre più nella terra, fino a 1000, 1200 metri di
profondità. Negli altri livelli della Hainault lavorano normalmente i minatori di oggi con sistemi di perforazione sempre
più automatizzati, mentre questo piano è per i visitatori. <<Si entrava al mattino, si usciva la sera. Due, tre, cinque di questi martelli, sempre in funzione, per scavare le gallerie secondarie e inseguire il
filone. E' come andare con il sole, perché in tutto il mondo i filoni d’oro hanno una sola direzione: l’asse
est-ovest. Andavi a ovest
smartellando e con l’immaginazione eri sempre sotto il sole. Solo che c’era buio e non sentivi né i pappagalli
gridare, né i versi degli altri animali che vivono là fuori. La paga era bassa e i dollari si spendevano tutti in birra e puttane. Nessun minatore è diventato ricco. Lì fuori, sulla strada principale, non c’erano che gli
"ufficetti" delle compagnie minerarie, e poi solo pub e postriboli>>. Work hard and play hard, lavoro duro e divertimento duro, si diceva.
Così anche fuori della miniera erano sensazioni forti, violente. <<La sera si era ricchi per un momento, si tornava in miniera di nuovo poveri. Ma si era felici>>. E non era vero, probabilmente. Ma ai bambini con l’elmetto la nascita del loro Paese deve
sembrare una bella favola. Era vero semmai che tra i minatori esistevano uno
spirito di corpo e una solidarietà che in altri settori non c’erano. A Kalgoorlie uno dei nomi piu noti è quello di un italiano, Modesto
Varischetti, arrivato in Australia agli inizi del secolo. <<Se sei italiano
devi conoscerlo>>, e io spiegavo che per i nostri libri di scuola Garibaldi è più
importante e che di personaggi da ricordare ne abbiamo anche troppi. Modesto
Varischetti, "miner" nelle miniere Bonnievale, rimase intrappolato per
9 giorni, dal 19 al 28 marzo 1907, per il crollo della volta di una galleria, facendo
commuovere tutti i minatori del continente e facendo scattare un’operazione di salvataggio
che commosse ancora di più del fatto stesso. I nomi dell’ispettore delle miniere,
Crabb, e dei palombari, Cyrtis, Hearne, Hughes e ]ohnson, che dovettero
intervenire per superare un tratto di galleria allagato, sono incisi nella struggente storia del
Gold Rush Country. Tutto andò per il meglio, Modesto si salvò e diventò un eroe.
C’e anche un libro sulla sua vita. Non accadde nient'altro di rilevante. Non ci furono
altri crolli, né scioperi, né tragedie collettive. Scoprivo piano piano che tutto
sommato la grande gold rush fu un evento senza drammi. |
|
|
|
<<Anche
questa città è calma e rilassata, si sta bene qui>>. C’era
qualcosa di familiare sia nei tratti della donna minuta dietro il banco
del triste fast-food, sia nei tortelloni sanguinosi di sugo esposti dietro
una vetrinetta. Si chiamava Carolina e veniva da un paesino
dell’Abruzzo, e non c’era niente di strano perché il 2-3% degli
abitanti della Western Australia è di origine italiana e rappresenta come
importanza numerica il secondo gruppo etnico dopo gli inglesi. Ma Carolina
ha dimenticato perfino la lingua italiana: le si può parlare in un
inglese duro o in un dialetto dei Carpazi, idioma che abitualmente usa in
casa parlando con il marito originario di quell'Est Europa e ora anche lui
miner nel ventre umido dell’Australia. <<Per questo siamo ritornati dopo aver provato a vivere a
Perth>>. Non funziona quasi mai. Perth, la "metropoli", è una graziosa, misurata
città. Kalgoorlie è una sola strada perfettamente diritta, ordinata, come deve essere e come ci si aspetta che sia una
città di cercatori d’oro. Lungo la mezzeria della strada, doppia, un filare di
lampioni, doppi, che illuminano di qui e di là. Quando
capita una festa, ai cavi elettrici che uniscono i pali dei
lampioni agganciano festoni e lampadine colorate. Cosi la main street di Kalgoorlie sembra un lunghissimo albero di Natale. Ai lati della strada, due file di costruzioni con dentro tutto quel che
serve alla comunità. Gli uffici delle compagnie minerarie, le banche, una chiesa, gli alberghi, verso le estremità periferiche i motel, i ristoranti, i pub, l'ufficio turistico per
sfruttare l’ultimo business, i grandi magazzini. Tutte costruzioni basse con qualche rara impennata di mattoni che alza qualche facciata. Parcheggiate a lisca di pesce, ordinatamente, le fuoristrada incrostate di terra rossa, le berline con il frontale coperto dal "bull-bar", il mostruoso paraurti
anticanguro, i camioncini, qualche arrugginita macchina inglese dei primi tempi perché adesso è tutta merce giapponese.
Nessuno o quasi nessuno abita sulla main street. Le case sono disposte ordinatamente su strade sempre ortogonali fra
loro, che avanzano verso il nulla del territorio intorno. Basse, con la televisione a colori che occhieggia dal soggiorno e il giardinetto incolto tutto intorno. Nel giardinetto capita di vedere una pianta rampicante capace di trovare da vivere anche dove l’acqua é un evento raro, la
"silky pear", la pera di seta. Gli aborigeni mangiano il suo frutto, succhiano il nettare dei suoi fiori e
la chiamano kalgooluh. Cosi, quando nel 1895 si cercò un nome per battezzare quell’ammasso disordinato di case, capanne, stamberghe, rifugi di
lamiera nati intorno a un buco con dentro l'oro, venne fuori il nome Kalgoorlie. Due anni dopo, nel 1897,
cercatori invidiosi fondarono a un paio di chilometri di distanza la "loro" città.
Un altro ammasso di capanne e stamberghe di latta: la chiamarono Boulder perché
lì vicino c’era una miniera che si chiamava cosi. Oggi i due agglomerati sono
praticamente una sola città: Kalgoorlie-Boulder. Nelle case di legno abita gente che si chiama Ainsworth, oppure Carr-Boyd,
McCann, McPherson, Plummer, Treghurta, Meiklejohn. E anche Jacoletti (che
originariamente era Giacoletti) o Cammilleri. Sono i figli dei cercatori della
prima generazione, gli eroi della gold rush. Dei vecchi ormai sono vivi quelli arrivati più tardi,
come Les Voumard che è qui dal '29 e oggi, a 87 anni, dice di saper ancora "fiutare" l’oro. O Alby
Frank, che vive a Kalgoorlie con le
"Sorelle dei poveri" perché al mondo non ha nessuno e non gli è rimasto nemmeno un grammo di tutto l’oro che ha trovato. C’è anche qualche Hannan e qualche Bayley che abitano a
Kalgoorlie. E sono i discendenti di Paddy Hannan e di Arthur Bayley, i primi che hanno trovato l’oro. Paddy
fu il prospector più ricco e più famoso, la città gli ha fatto una statua e gli ha dedicato la strada principale. La sua fortuna ebbe inizio appena fuori
Kalgoorlie, in un pezzo di terra arida che oggi è il "golden mile", il miglio d’oro. Un miglio esatto, 1600 metri di lunghezza e 800 di larghezza, che nasconde nelle viscere tanto oro quanto non se n’è mai visto altrove. |
| |
Approfondimenti di questa pagina
|
|