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Geologia miniera di Corchia

 

 

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Emilia Romagna: seconda pagina  dello studio mineralogico (vedine l'inizio) Oro, Freibergite, Argentite-Acanthite, Uraninite ed Idroromarchite nel giacimento a solfuri di Corchia, Appennino Parmanse"

 
MINIERA DI CORCHIA, LA SITUAZ. GEOLOGICOGIACIMENTOLOGICA: 
 

I giacimenti cupriferi dell’Appennino settentrionale appartengono a quella categoria definita nella letteratura internazionale con l’acronimo VMS (Volcanicassociated Massive Sulfides), intendendo così quei giacimenti, coevi e coincidenti con le sequenze stratigrafiche vulcano-sedimentarie che li ospitano (le ofioliti), formatisi predominantemente per accumulo di solfuri di Fe-Cu-Zn-Pb, precipitati da soluzioni idrotermali (black smokers) in corrispondenza o al disotto del fondo marino (Barrie e Hannington, 1999). Basandosi sulla morfologia e sulla posizione stratigrafica dei giacimenti all’interno delle sequenze ofiolitiche della Liguria orientale, Ferrario e Garuti (1980) hanno distinto quattro maggiori tipi di depositi: 1) depositi stratiformi in brecce ultramafiche presenti al tetto del mantello tettonizzato, invariabilmente coperto dalle lave a pillows; 2) depositi stratiformi nelle brecce basaltiche, presenti al tetto delle unità dei basalti in pillows, a contatto con la copertura sedimentaria; 3) depositi in lenti massive e disseminazioni dentro le lave a pillows; 4) depositi di solfuri disseminati in vene e filoni, che tagliano le varie unità delle sequenze ofiolitiche, comprendenti il mantello tettonizzato, il gabbro massivo e i basalti in pillows. Secondo questi autori, i depositi a solfuri stratiformi dei tipi 1 e 2 si formarono sui fondali marini per processi esalativi e di sedimentazione precedenti e successivi alla messa in posto del basalto a pillows (Miniere di M. Bardeneto, M. Bianco e Reppia). L’unico esempio di deposito di tipo 3 è rappresentato dalla miniera di Libiola. Qui, l’assetto della mineralizzazione sembra indicare che la deposizione dei solfuri potrebbe essere avvenuta al di sotto dell’interfaccia acqua-basalto, singenetica con la messa in posto delle colate laviche. Le vene e gli sciami di filoni che ospitano le mineralizzazioni di tipo 4 (Casali, Campegli, M. Loreto), con la loro posizione stratigrafica all’interno delle rocce plutoniche, sono testimoni dell’origine profonda delle soluzioni idrotermali da cui si depositarono i solfuri. I risultati di un’indagine geotermometrica sulla clorite (Zaccarini ecc. 2003) sono in accordo con il desunto ambiente di formazione di questi depositi a solfuri. I risultati indicano temperature di formazione decrescenti dai depositi del tipo 3 e 4 (200°-310° C) a quelli stratiformi che si sarebbero formati a temperature comprese tra i 50 °C e i 298 °C (media di 170 °C), con l’85% dei valori che si concentra fra i 100°C e i 200°C. A differenza della Liguria orientale, l’assetto geologico dei giacimenti localizzati nel versante emiliano dell’Appennino si presenta il più delle volte poco chiaro e, spesso, stratigraficamente indefinibile a causa della intensa frammentazione venutasi a determinare in seguito al trasporto tettonico verso NE delle masse ofiolitiche, durante l’orogenesi appenninica. Il corpo ofiolitico di Corchia è uno dei più estesi dell’Emilia Romagna, ricoprendo una superficie totale di alcuni km2. Secondo quanto già osservato da Bertolani (1962) le rocce ofiolitiche sono costituite da: 1) serpentine, che presumibilmente rappresentano frammenti del mantello oceanico, 2) diversi tipi di diabasi o basalti, con frequente forma di pillows, e 3) breccia ofiolitica, per lo più costituita da frammenti basaltici. E’ presente, inoltre, un grande blocco granitico i cui rapporti con le rocce ofiolitiche sono chiaramente tettonici. Le rocce sedimentarie circostanti l’ofiolite sono costituite da argilliti includenti blocchi calcarei e calcareo-marnosi, localmente note col nome di “galestro”, e attribuibili alla formazione delle “argille a palombini” (Bertolani, 1962). Tracce di scavi, piccoli saggi e ricerche minerarie sono tuttora visibili in tutta la massa ofiolitica di Corchia. Due corpi minerari situati rispettivamente alle quote 770 m e 810 m, sulla sinistra idrografica del Torrente Manubiola di Corchia, ammontavano originariamente a diverse decine di migliaia di tonnellate di minerale e furono, quindi, oggetto di coltivazione. Entrambi i depositi sono di tipo stratiforme, e si localizzano nella breccia basaltica presente al tetto dei basalti a pillows, in contatto superiore con la copertura sedimentaria. Pertanto, il giacimento di Corchia, nel suo insieme, può essere attribuito al tipo 2) descritto da Ferrario e Garuti (1980), sebbene la copertura sedimentaria sia qui rappresentata dalle Argille a Palombini e non dai caratteristici diaspri varicolori della Liguria orientale che, come noto, ospitano giacimenti di manganese. Uno dei corpi minerari è ancora ben esposto nel cantiere Donini, presso la cascina Perboni. A dispetto della intensa tettonizzazione, i contatti litologici tra le varie unità (breccia, mineralizzazione, sedimenti) sono ancora visibili sia negli affioramenti a cielo aperto che in galleria, e mostrano i caratteri della transizione stratigrafica originale (Figura 3). Sfortunatamente le gallerie del cantiere Speranza non sono più accessibili perché completamente allagate. Tuttavia, la cartografia mineraria disponibile (Adorni e Guelfi, 1997) indica l’esistenza di una lente di minerale che si estende per oltre 100 m lungo la direzione per uno spessore di 2-5 m ed una profondità di oltre 50 m in posizione stratigrafica originale.

 

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